La scuola in confusione: vero o falso?

L’articolo 27 del Regolamento della Real Marina del Regno delle due Sicilie del 1841 sotto il regno di Ferdinando II° di Borbone così recita: «All’ordine “Facite Ammuina” tutti chilli che stanno a prora, vann,a poppa e chilli che stann’a a poppa vann’a prora; chilli che stann’a dritta vann’a sinistra e chilli che stann’a sinistra vann’a dritta; tutti chilli che stanno abbascio vann’ncoppa e chilli che stanno ‘ncoppa vann’abbascio passann’ tutti p’o stesso pertuso; chi nun tiene nienta ffa, s’aremeni a ‘cca e a ‘lla» firmato Maresciallo in capo dei legni e dei bastimenti della Real Marina Mario Giuseppe Bigiarelli. L’impressione che se ne trae da questo articolo 27 è che alla bisogna l’immagine che doveva prevalere era quella di una grande operosità a bordo delle navi quando queste venivano avvistate dalle navi quando queste venivano avvistate dalle navi nemiche o visitate se ormeggiate in porto. Ma se ne poteva dar una lettura anche contraria ovvero che su quelle navi regnasse una gran confusione fino a mettere in pericolo gli stessi equipaggi. Cosa c’entra questa immagine con la scuola? C’entra, c’entra. È, infatti, questa l’immagine di confusione che si vuole accreditare presso l’opinione pubblica ad opera di qualche sindacato con lo scopo di dimostrare la confusione imperante oggi nella scuola a causa dei decreti applicativi della legge 107/15 già entrati in vigore. Una cultura demotivante e demolitiva dura a morire secondo cui i danni causati dai decreti applicativi superano abbondantemente i pochi e sparuti benefici agli stessi collegati. Ma vediamoli nel dettaglio questi danni. Al primo posto viene messo lo “strapotere dei presidi”. E te pareva. Secondo questa logica sindacale i poteri riconosciuti ai presidi non fanno altro che mettere in risalto i continui soprusi che subisce il personale scolastico ad opera di capi d’istituto mossi da sinistre logiche aziendalistiche tendenti a piegare la volontà dei più deboli. Come dire che le scuole oggi sono rette da persone autoritarie con una spiccata tendenza verso una gestione padronale fino ad arrivare a scegliersi il personale al di sopra di ogni regola e di ogni normativa. Ora possiamo forse escludere a priori che tra i circa ottomila presidi sparsi nelle nostre scuole possa esserci qualcuno dalle caratteristiche appena descritte? Probabilmente qualche cattivo esempio alla pari di una mela marcia nel cestino delle mele sane possa mettere in dubbio la professionalità della gran parte dei presidi, attenti però a valorizzare le risorse presenti nelle scuole pur di stimolare positive ricadute sulla didattica e sulla metodologia. Eppure questi cattivi esempi rappresentano l’eccezione che conferma la regola. Una regola che vede i presidi in difficoltà proprio a causa dei mancati poteri più volte reclamati e prima con la legge 107/15 e poi con i decreti attuativi annacquati e resi compatibili con una figura dirigenziale che deve continuare a fare l’equilibrista tra le diverse pretese talvolta avanzate senza tener conto di una corretta azione amministrativa. Nel mirino è finita anche l’Alternanza scuola-lavoro ritenuta un’esperienza che consente alle aziende di sfruttare i ragazzi in attività lavorative sotto mentite spoglie. Questo rischio c’è ed è reale come pure quello di tenere i ragazzi seduti da qualche parte senza far niente pur di certificare l’impegno avvenuto. In questo caso, però, non bisogna fermarsi a quei pochi maldestri esempi emersi in determinati ambienti che hanno fatto di questa preziosa opportunità di crescita per i ragazzi una iniqua occasione che nulla ha a che vedere con l’autentico spirito che disciplina l’esperienza messa in atto con la Buona Scuola. Insegnare ai ragazzi a fare impresa, ad acquisire competenze tecniche secondo la logica esperienziale dell’Imparare Facendo, insegnare a saper comunicare e fare esperienza lavorativa stando uno a fianco all’altro, sviluppare il pensiero critico, imparare ad affrontare situazioni e risolverle, sono queste le qualità forti dell’Alternanza scuola-lavoro che offre reali e concrete opportunità di conoscere da vicino il mondo del lavoro e le sue prerogative. Va da sé che queste esperienze possono trasformarsi anche in vere e proprie opportunità di lavoro una volta raggiunto il diploma mediante contratti di apprendistato. Cose assurde vengono dette sul “bonus premiale” riservato ai docenti di ruolo che ha come fondamento quello di premiare chi si adopera nella scuola in maniera instancabile, dando prova di grande responsabilità professionale al servizio dell’istituzione, per i ragazzi e non al servizio di questo o quel preside. Eppure la logica del premiare chi merita ha finito col dividere il mondo della scuola tra favorevoli e contrari in uno scontro tra poveri che devono sempre fare i conti con cifre esigue, ma che nulla tolgono alla valorizzazione del merito della professionalità docente.Sono stati messi in risalto i rischi di clientelismi e consorterie che nelle scuole possono affermarsi a discapito di quanti, nella discrezione e riservatezza, lontani da particolari metodi gestionali, agiscono mediante pratiche professionali che vanno spesso oltre il semplice dovere contrattuale fino a dare un valore aggiunto alla propria opera. È vero, se questi rischi sono reali è altrettanto vero che spetta al preside mettere in auge opportune garanzie tendenti a dare al “bonus premiale” quella qualità dalla norma riconosciuto che vuole prioritariamente valorizzare il merito del singolo docente. Ogni deformazione di tale principio è un’astrusa confutazione dell’interpretazione che della norma si vuole dare. C’è dunque confusione in tutto questo? Direi proprio di no. E’ solo questione di correttezza nell’applicare le norme seguite alla legge sulla Buona Scuola. La confusione il più delle volte finisce per essere generata, sia pur involontariamente dagli uni, per poi essere strumentalmente utilizzata dagli altri ovvero da chi interpreta norme e articoli in maniera difforme dalle indicazione espresse e affidate a chi norme e articoli sono chiamati ad applicare. Forse un po’ di confusione sta ultimamente generando l’utilizzo degli smartphone in classe così come auspicato dalla ministra Fedeli. Di sicuro il mondo dei ragazzi deve trovare armonia con il mondo della scuola e questo vale anche per quanto riguarda l’utilizzo della tecnologia. Se è vero che il telefonino «è uno strumento che facilita l’apprendimento», come sostiene la ministra, è altrettanto vero che è uno strumento che in classe distrae soprattutto se utilizzato in situazioni che richiedono riflessione e concentrazione come sostengono docenti e colleghi. Che sia vera l’una o l’altra tesi, come scrive Tucidide Ateniese, «la ricerca della verità è faticosa».

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