La scuola tra buone e cattive notizie

È un giorno come tanti, salgo le scale del mio istituto per recarmi in presidenza, mi ferma un docente che, tra il serio e il faceto, mi dice: «Preside. Ho da darle due notizie, una bella e l’altra brutta. Da dove vuole che cominci»? E’ un lunedì, una bella giornata e non ho voglia di cominciare la settimana con un mal di stomaco. Non esito un istante. «Cominciamo dalla bella, così mi preparo a digerire meglio l’altra» è la mia risposta. Una situazione simile trovo riproposta in questi giorni. Molti giornali riportano la notizia che entro il 2015 saranno immessi in ruolo nella scuola poco più di 150 mila precari tra personale docente e non docente. Notizia bella? Per certi aspetti sì, per altri no. Anch’io non saprei da dove cominciare. Sono incerto. Comincio dagli aspetti negativi o da quelli positivi? Cominciamo da questi ultimi. E allora è facile dire che finalmente il governo ha trovato il modo di sistemare centinaia di migliaia di giovani precari (saranno poi tutti giovani?) che passeranno dal Purgatorio al Paradiso ovvero dalle graduatorie ad esaurimento al ruolo. Finalmente queste graduatorie che per anni hanno scandito tra gioie e sofferenze i tempi della vita di migliaia di docenti, saranno messe definitivamente in condizione di non influenzare più, nel bene o nel male, la vita di tante persone che hanno legato il proprio futuro alla chiamata di un incarico annuale o di una supplenza temporanea. Dunque tutto bene? Niente affatto. Ed ecco la notizia non buona. Tra i 150 mila in attesa di sistemazione, è presente un gran numero di docenti che, secondo una nota del Ministero, supera i 41 anni di età, quindi non freschi di laurea, ma docenti che da anni, causa un basso punteggio, occupano costantemente gli ultimi posti nelle graduatorie; docenti che stufi di aspettare l’arrivo di un’agognata supplenza, hanno giustamente cercato altre strade, abbandonando forse definitivamente l’idea di una risolutiva sistemazione nella scuola; docenti che non hanno mai avuto modo di fare una sia pur piccola esperienza d’insegnamento. Ora che l’attesa sta per finire, perché così dice la prossima legge di stabilità, ci sarà l’opportunità per tutti di entrare in ruolo. Ma proprio tutti. Anche chi non ha mai insegnato, chi non si è mai posto il problema di un più efficace aggiornamento professionale soprattutto sulle mutate indicazioni didattico - metodologiche che il mondo della scuola ha visto, negli ultimi anni, richiedere. «Todos Caballeros», dunque, è il criterio che verrà adottato senza un minimo di verifica in quanto a professionalità ed esperienza acquisite. Un po’ come fece Carlo V° che pur di ingraziarsi i sudditi più riottosi li nominò tutti cavalieri. Accanto a tanti bravi insegnanti che finalmente dopo anni di precarie attività didattiche, dopo estenuanti corsi SSIS – SOS – TFA – PAS - Master Universitari – Certificazioni Informatiche ECDL e LIM - Certificazioni Linguistiche livello B1 e B2, C1 e C2 - si vedranno spianare la strada lungo il proprio cammino, entrerà in ruolo anche tanta brava gente che di scuola però avrà probabilmente solo un vago ricordo. E’ bene ricordare che il timore di non essere all’altezza del compito a cui ci si sente chiamati, incide moltissimo sul processo d’insegnamento. E questa non è una bella notizia. Specie se all’orizzonte si affacciano problematiche didattiche di un certo rilievo poiché rispondenti ai nuovi necessari parametri di qualità che non possono più mancare all’appuntamento quando si è a contatto con i ragazzi. Sono in programma l’avvio dei percorsi didattici secondo la metodologia Clil, ovvero dell’insegnamento in inglese di materie non linguistiche come matematica, storia o geografia, tanto per citarne alcune. Secondo le ultime disposizioni del Ministero già da quest’anno i ragazzi delle classi quinte dovrebbero conferire in inglese agli esami di stato una materia non linguistica. Ma, come spesso accade, non sempre tanta buona generosità messa in campo per risolvere i problemi trova coerenza con la normativa che ne delinea i contorni operativi. Voglio dire che in ambito scolastico e non solo, ci troviamo di fronte a ottime normative, ma queste da sole non bastano. Bisogna applicarle e però il compito più difficile è proprio quello di applicarle e di applicarle bene. Una via da percorrere, nel nostro caso, potrebbe essere quella di pensare a brevi e intensi corsi di formazione per tutti i docenti, ma anche in questo caso occorrono ingenti risorse economiche gran parte delle quali, però, verranno impegnate proprio per consentire la sistemazione dei 150 mila precari. E allora dov’è la brutta notizia? Che alcuni docenti di prossima immissione in ruolo, molti o pochi che siano a questo punto poco importa, si troveranno in seria difficoltà nell’insegnare la propria materia. Bisogna ammettere che senza un minimo di verifica sulle capacità professionali dei docenti da parte del corpo ispettivo del MIUR, difficilmente si potranno evitare certi particolari problemi le cui conseguenze si faranno sentire o vedere nel giro di qualche anno. L’insegnamento non può essere considerato una professione di ripiego, una professione alternativa conseguente a una mancata ulteriore occasione professionale. Insegnare vuol dire «lasciare un segno» nei ragazzi che meritano il massimo del nostro impegno, altro che un semplice ripiego, men che meno un compromettente riempitivo. L’insegnante deve tornare ad essere colui che accompagna i ragazzi lungo la difficile strada formativa e puntare alla sua crescita morale, fisica, civile e sociale oggi più che mai necessaria poichè minacciata da una famiglia e da una società disastrate. Non va dimenticato che la scuola è una delle principali istituzioni che influenzano la crescita di un ragazzo. Finiamola di considerare la scuola come un luogo da frequentare per un certo numero di anni necessari ad ottenere il fatidico pezzo di carta. Questo vale soprattutto per i genitori. La scuola è fondamentalmente un mezzo per crescere interiormente e culturalmente. Gli studenti si aspettano molto dagli insegnanti dal momento che vengono visti non solo come specialisti, competenti, ma anche e soprattutto come persone che sappiano trasmettere la passione per il sapere e una visione della vita.

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