La scuola ai tempi di Facebook

Uno dei maggiori problemi di oggi per un docente è riuscire a insegnare senza cadere nella trappola di una incontrollata accondiscendenza, di un rapporto eccessivamente confidenziale per finire erroneamente nell’amicale. A sottolineare questo rischio è stato il mio collega della scuola media di Albisola Superiore, in provincia di Savona il quale, con una circolare interna indirizzata ai suoi insegnanti, ha chiarito quanto sia sbagliato instaurare con gli allievi un rapporto di amicizia virtuale su Facebook. Una circolare stringata, ma che è andata oltre il semplice invito per tradursi in un chiaro divieto: «I professori non possono dare l’amicizia su Facebook ai loro studenti». Una circolare che ha posto un limite ai docenti, prevaricando il quale si finisce col mettere in discussione lo stesso concetto di autorevolezza, trascinando la relazione verso una dimensione più famigliare in un ambiente dove di famigliare c’è solo l’arredo. La scuola è un luogo educativo e formativo dove diversi ruoli interagiscono per dare senso all’opera di cambiamento. Tra allievi nasce e si consolida un’amicizia, tra professori nasce e si consolida un rapporto professionale oltre che amicale, ma tra professori e allievi non può esservi amicizia. In effetti quando un insegnante considera un allievo alla pari di un amico, quando un genitore tratta il figlio come un caro amico di famiglia, non si fa che un grossissimo errore educativo. Non può esserci un amico tra i banchi di scuola che non sia un pari come non può esserci un amico di famiglia che non sia un esterno accolto alla pari. A mio parere instaurare e vivacizzare un rapporto amicale tra allievi e docenti, avvalendosi anche dei social network è sicuramente un passo falso. Quando in classe si rompe un equilibrio garantito dai diversi ruoli, quando in classe si vive un’esperienza sbilanciata tra docenti e allievi, quando il valore del rendimento si confonde con lo spessore del sentimento, allora siamo pure certi che il principio pedagogico rischia di scadere di valore etico. Già Marco Fabio Quintiliano, nel 40 d.C., sempre a proposito del contegno che un docente dovrebbe tenere nei confronti di un discente, rendeva noto alcune fondamentali raccomandazioni: «Sia austero ma non arcigno, cordiale ma non in misura esagerata, per evitare, nel primo caso, l’antipatia e, nel secondo, la mancanza di riguardo». Si capisce, da queste poche parole, che il problema più grosso non è il rapporto in sé tra docenti e studenti, quanto la misura esagerata che viene data alla relazione per regolare un particolare rapporto. Quando la misura è esagerata si finisce di «mancare di riguardo» allo stesso discepolo. Non c’è errore più grande che entrare nella sfera degli interessi dei ragazzi mediante un livello di confidenzialità tale da andare oltre un semplice rapporto personale. Un insegnante è bravo quando riesce a capire la personalità del suo allievo, quando riesce a sgretolare la sua fragilità causa, a volte, di insicurezze, quando riesce a sostenerlo nei momenti di crisi, di sconforto, qualificando vieppiù il proprio intervento come una necessaria risposta a una latente richiesta di aiuto. E’ questo il momento di muoversi per apprezzarne soprattutto le qualità, le capacità di gestire il proprio rapporto all’interno di un contesto comunitario senza confondere i ruoli. Ma allora se un docente entra a pieno titolo in una relazione di classe vuol forse dire entrare in confidenza con i propri allievi? Condividere il loro linguaggio, entrare nel loro mondo fatto di specifici interessi e di particolari esperienze vuol forse dire «essere alla mano»? E’ pur vero che condividere un rapporto umano porta a meglio conoscere un variegato mondo interiore proprio dei nostri giovani, ma questo non deve legittimare nessuno ad alimentare una confusione di ruoli, a ridurre le distanze tra chi è accomunato solo da una dimensione sociale. Chi è chiamato a educare, infatti, si ritrova tra le mani un ruolo diverso da chi, invece, è chiamato ad essere educato. Il buon senso in queste delicate situazioni non deve mai mancare. Proprio in virtù di questo è necessario far riscoprire ai ragazzi l’importanza del significato di umanità che accompagna l’opera dell’insegnamento. Un rapporto di umanità, infatti, non può mai prescindere da un rapporto fatto di consigli, di suggerimenti, ma anche di rimproveri e correzioni. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con l’amicizia tra diversi. Diversi innanzi tutto per età giacché essere adulto non è la stessa cosa che essere giovani, cosa, peraltro, ben diversa dalla convinzione di sentirsi giovane. Legittima aspirazione degli adulti che combattono così la noia di fronteggiare debolmente le avversità della vita. In questo l’insegnante è più fortunato perché riceve dai suoi studenti una buona dose di freschezza, entusiasmo e spontaneità tale da rendere meravigliosa l’esperienza stessa della docenza. Poi si è diversi per ruolo e funzioni, giacché chi è chiamato a insegnare è anche tenuto a dare voti, a emettere giudizi e sentenze, a far sentire il proprio peso in classe e ciò può avvenire solo attraverso il riconoscimento di autorevolezza che si fonda su un rapporto umano e mai su quello amicale. Un amico non valuta, un amico si muove in libertà su un preciso piano confidenziale. I ragazzi, per la loro giovane età, vivono questa dimensione in modo del tutto naturale e per questo trovano nelle nuove tecnologie un aiuto insostituibile. Internet, telefonini, social network, in particolare, consentono di vivere il rapporto tra pari con più efficacia e originalità. Quella stessa originalità che non trovano in famiglia, ma che consente loro di vivere un’esperienza di relazione valida soprattutto dal punto di vista della formazione della propria personalità. Un concetto comunque deve essere chiaro per i ragazzi. L’insegnante non è l’amico di merenda è, invece, colui che mai farà mancare il fattore amicale, ovvero la sicurezza di saperlo disponibile all’aiuto, in virtù, conoscenza e sapienza. A ricordarcelo è Epicuro, quello del piacere, quello che invita ad accontentarsi di ciò che si ha, secondo cui: «non abbiamo tanto bisogno dell’aiuto degli amici, quanto della certezza del loro aiuto».

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