La scelta coerente di Berlusconi

La fase nella quale il Paese è entrato con le dimissioni del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è certamente delicata e difficile, ma è anche un momento che permette di fare estrema chiarezza nel quadro politico nazionale. Oggi infatti, al di là di qualsiasi dubbio, emerge la netta distinzione tra coloro che negli ultimi 18 anni di vita italiana hanno costantemente lavorato solo con l’obiettivo di abbattere il “nemico” Berlusconi e coloro che invece si sono impegnati nel tentativo di rinnovare l’Italia. Tra chi cioè, incapace di scrollarsi di dosso le vecchie logiche della politica e di rinunciare alla denigrazione e all’offesa, ha messo in piedi alleanze eterogenee unite esclusivamente dalla volontà di fermare il nuovo, e chi invece ha affrontato anche il fango e i tentativi di delegittimazione per proporre idee e progetti che potessero permettere al nostro Paese di restare nel consesso europeo e delle nazioni più avanzate. Dove, è meglio ribadirlo a scanso di equivoci, si trova tuttora, perché la crisi economica che ha investito l’Italia è la stessa che sta travolgendo tutto l’Occidente e non è certo attribuibile all’azione di un Governo che ha provato anzi in tutti i modi a tenere botta a difficoltà che affondano le radici ben più lontano di qui. Così come non sono attribuibili all’iniziativa dell’opposizione, così divisa e lacerata al suo interno da essere sempre incapace di costruire proposte politiche serie, le dimissioni di un Premier che si è fatto da parte solo per senso di responsabilità e dello Stato, pur non avendo mai dovuto subire la sfiducia del Parlamento.Ora, improvvisamente, con la scelta di Silvio Berlusconi e del PDL, coerente con l’esperienza di una forza politica che ha sempre perseguito il bene dell’Italia, le minoranze – tali in Parlamento e nel Paese – si trovano spiazzate. Non hanno perso solo un avversario da combattere con ogni mezzo; si sono paradossalmente trovate orfane dell’unico collante che poteva ancora tenerle insieme: l’odio per Berlusconi. Ed eccole dunque proporsi di fronte alle nuove sfide che ci attendono in ordine sparso, senza una strategia comune, in difficoltà nel trovare una prospettiva.Del resto, quelli che il Popolo delle Libertà ha dovuto contrastare in questi anni altro non erano che i rigurgiti della vecchia politica, l’estremo tentativo di bloccare un rinnovamento radicale e profondo, liturgie sorpassate come quelle celebrate da Gianfranco Fini, che hanno tentato di affogare le potenzialità del Paese in un sistema di ricatti e di “palazzo”. Ed è proprio attribuibile a Fini la responsabilità di non essere riusciti ad adempiere gli impegni di una legislatura costituente che non è andata a buon fine. Ma ora questa politica viene sconfitta dalla logica di un Governo tecnico dopo il quale la sinistra e i suoi alleati resteranno a mani vuote e durante il quale dovranno invece accettare e far digerire ai propri sostenitori quelle stesse scelte che hanno sempre osteggiato fino alla mobilitazione di piazza se prese dal Governo Berlusconi: i provvedimenti di macelleria sociale tanto osteggiati, adesso diventeranno improvvisamente accettabili?Non è invece finita la stagione del PDL, che ha sempre avuto le idee molto chiare su come far uscire l’Italia dalla crisi, come continuare a garantirle credibilità internazionale e tenuta economica e che già guarda oltre a quella che si annuncia come la parentesi del Governo Monti. Una volta esaurita la missione di rispondere con provvedimenti concreti al piano d’azione proposto all’Europa da Berlusconi e per buona metà già realizzato, i tecnici dovranno farsi da parte e bisognerà tornare subito alla politica vera, a elezioni in tempi rapidi per dare al Governo una guida legittimata dal voto popolare e per dare compimento alla rivoluzione avviata da Berlusconi e che non si interrompe qui. Elezioni cui si dovrà arrivare con regole che permettano chiaramente ai cittadini di conoscere prima chi si candiderà a guidare il Governo e con chi intenderà farlo. Il PDL e il suo leader guardano avanti con fiducia e si ricandidano a guidare l’Italia sulla base di un programma che negli ultimi 18 anni è stato tracciato, di cui sono state costruite ben più che le basi (peraltro condivise anche dall’attuale premier incaricato) e che ora necessita di essere compiuto fino in fondo. Con il contributo, però, di una nuova classe dirigente.Quella che negli ultimi anni ci ha regalato, da sinistra a destra, l’indecoroso spettacolo di continui trasformismi, tradimenti ideali, disinteresse per la cosa pubblica, deve farsi da parte. Chi per troppo tempo ha ricoperto il ruolo di parlamentare deve lasciare il campo a forze nuove, giovani, che possano aggiungere competenza, entusiasmo e amor di patria al dibattito politico.Personalmente ne sono così convinto che anche all’interno del PDL sosterrò questa volontà di rinnovamento, lavorando perché in futuro gli incarichi parlamentari non possano durare più di due-tre mandati al massimo, oltre a prevedere che chi verrà eletto in un partito dovrà dimettersi se non ne condividerà più le scelte.Anche questo potrà contribuire a riavvicinare gli italiani alla politica, i giovani ai partiti. E a ridare dignità a Istituzioni nelle quali troppo a lungo hanno resistito prevaricazione e violenza verbale; Istituzioni che qualcuno non ha esitato a squalificare, insieme al buon senso, sull’altare della battaglia contro una persona e ciò che rappresenta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA