La rivolta dei presidi vincitori

«Chiediamo solo di poter fare la professione per la quale ci siamo preparati». E’ questo, in sintesi l’appello finale che i docenti lodigiani, vincitori del recente concorso a preside, rivolgono al Ministro Profumo e al Capo dello Stato. La vicenda è assai nota. Dal recente concorso a presidi tenuto in Lombardia, è scaturito un caso di rilevanza nazionale. I ricorsi presentati hanno sortito un disastroso effetto: momentaneo annullamento delle prove in vista della sentenza definitiva che toccherà il merito della questione sollevata dai ricorrenti. Accidenti alle buste trasparenti! Pare che queste buste, di scarsa consistenza, permettessero la lettura del contenuto violando il principio dell’anonimato. Quindi le buste sono la causa prima del caos che ne è seguito. Intanto i 406 vincitori della Lombardia, tra cui alcuni nostri colleghi lodigiani, sono stati messi in quarantena, lontani dalle presidenze, in attesa dell’esito della sentenza definitiva prevista per il 20 novembre prossimo. Ora ritengo corretto non entrare nel vivo della vicenda, visto che è in corso un giudizio di merito da parte della giustizia amministrativa, tuttavia mi è difficile esimermi da una valutazione razionale di quanto accaduto. E’ assurdo che dei docenti, chiamati a sostenere delle prove non semplici, ma superate con caparbietà e impegno, debbano fare i conti con il demerito di chi era stato investito della responsabilità di preparare le maledette buste ritenute dai ricorrenti non idonee alla funzionalità richiesta. Forse che tutto ciò che è seguito poteva non essere previsto? Chissà. Intanto anche in Calabria il concorso è stato annullato, ma per altri motivi. In Calabria, infatti, il presidente della commissione era anche presidente di un corso di perfezionamento per docenti vicari alcuni dei quali ammessi al concorso. In questo caso l’interevento della giustizia amministrativa poteva essere previsto. Un pasticcio, ma del tutto prevedibile. Così non è stato per la Lombardia. Bisogna stare attenti alla prossima sentenza del TAR Lazio che sempre a novembre discuterà di annullamento del concorso richiesto su tutto il territorio nazionale. Da noi la delusione dei vincitori è comprensibile quanto non del tutto comprensibile può essere considerata la soddisfazione di chi ha vinto il primo round. Anche in questo caso siamo di fronte a una guerra tra docenti. Da una parte ci sono quelli che hanno studiato, che si sono preparati non senza sacrifici e rinunce, che hanno deciso di darsi un nuovo ruolo professionale fatto di forti responsabilità all’interno della scuola, che hanno superato notevoli difficoltà imposte da una impietosa selezione di un concorso durato un anno, fatto di diversi step uno vincolato all’altro. Dall’altra ci sono quelli che si ritengono danneggiati, che chiedono una selezione scevra da qualsiasi ombra di dubbio, che affidano alla giustizia amministrativa il compito di valutare le ragioni di parte a giustifica della forte iniziativa legale. Un confronto duro portato avanti a forza di carte bollate, avvocati, giudici il cui esito è ancora tutto da vedere. Che speranza potrà nascere da un confronto di questo tipo? In questo caso la speranza degli uni si scontra con la speranza degli altri. O se si vuole essere più cinici, la felicità degli uni inizia là dove finisce la felicità degli altri. Ma personalmente temo il peggio. Temo che ai vincitori si opporranno i vinti che inizieranno, a loro volta, una lunga battaglia legale per ritornare ad essere nuovamente vincitori dopo aver sconfitto nuovamente i vinti. Qualcosa del genere è già accaduto in Sicilia. Un concorso nato male e finito peggio. A distanza di anni siamo ancora ad assistere al duro confronto tra le parti. Perché accadono queste cose? Si dice che finché ci saranno certe formule concorsuali, non cesserà il rischio di assistere al caotico confronto tra vincitori e vinti. Questa strana storia iniziata con un migliaio di quesiti eliminati perché errati, potrebbe servire per studiare un nuovo sistema concorsuale che vada oltre le semplici prove la cui garanzia, in fine dei conti, è affidata anche a delle piccole buste inaffidabili. Ma ora siamo di fronte a una storia diversa. Qui stiamo parlando di docenti che si vedono ledere un diritto giuridicamente acquisito. Il diritto di quanti, con riconosciuto merito, hanno raggiunto un traguardo per essere entusiasticamente pronti a dare un notevole contributo alla scuola e questo in un periodo in cui di entusiasmo, purtroppo, si rischia di soffocare. Ma un diritto è pur sempre un diritto. Diamine! Se viene messo in discussione anche questo, allora vuol dire che si deve ricominciare tutto daccapo per recuperare un corretto giudizio etico su quanto rientra nel diritto a tutela di ogni singola persona. Il concetto di merito non può essere relativo pena la sconfitta del diritto. Questo è sempre stato un credo che ha accompagnato la giustizia sociale nella corso della storia. Archita docet! Fanno bene i miei colleghi vincitori ad organizzarsi per avviare iniziative legali, politiche e sociali. E’ sempre auspicabile che qualcuno inventi una soluzione. Questi nostri colleghi non possono essere lasciati soli. Azzardo un ipotetico scenario: da una parte i vincitori sconfitti e dall’altra i ricorrenti vincitori. Lo scopo è trovare una soluzione che vada bene per tutti. Per i vincitori di concorso in quanto vincitori per merito e per i vincitori del ricorso in quanto vincitori per giustizia. E allora cosa fare? Per i primi puntare al riconoscimento del merito per superamento delle prove e, quindi, immediata immissione in ruolo, mentre per i secondi sia pur partendo dal riconoscimento del demerito, ma per sentenza giudiziaria restituiti al grado di partenza, aprire la strada di un concorso riservato. Potrebbe essere una via d’uscita bilanciata da un’armonica armonia. Vincitori e vinti sconfitti dagli eventi di diversa natura, ma riconosciuti dalla medesima speranza. Speranza di occupare una presidenza per merito per gli uni, bilanciata dalla speranza di ritornare a rifare il concorso per raggiungere il sospirato traguardo per gli altri. Questa volta con buste non trasparenti. Ma non sarà così. Ammetto. Ho ragionato per summum bonum. E poi Popper diceva: «Ogni uomo deve essere libero di avere le proprie idee. Pazienza se poi queste idee non coincidono con le mie».

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