La ricercatrice col “difetto” della bellezza

Comunicare il risultato di un’importante ricerca scientifica è una questione delicata. Il rischio primigenio e impellente è quello di dare eccessiva enfasi alla scoperta, fornendo così spazio e cassa di risonanza alle sirene delle illusioni. Il secondo è quello di divulgarlo con tutte le cautele possibili ed essere comunque fraintesi vuoi per minimalismo, vuoi per scarsa conoscenza della materia da parte dei giornalisti. Questi, finora, erano le criticità sull’argomento. Ma, inaspettatamente, nel nostro Belpaese così attento al politically correct, se n’è inserito un terzo, più subdolo perché frutto di un pregiudizio culturale. Ilaria Cacciotti è una brillante ricercatrice dell’Università di Tor Vergata. Ha dedicato la sua attenzione, il suo impegno, i suoi giorni, insomma, la sua vita, alla ricerca su un nuovo farmaco in grado di sconfiggere il morbo di Parkinson. Questo l’ha portata, con ragione e con onore, a vincere il premio “L’Oreal Italia per le donne e la scienza”. I media non hanno trascurato la notizia, e meno male!, ma hanno deciso di farlo attraverso una modalità che ha più a che fare con il mondo dello spettacolo che con quello della scienza. Qualche esempio illuminante: “Il volto grazioso della scienza”; “La fatina delle cellule”; “Che bella la scienza in rosa”. Se ancora non fosse chiaro cosa c’è che non funziona, provate a pensare ai titoli dei giornali o degli approfondimenti televisivi quando il soggetto è un uomo.Non risulta d’aver letto cose del tipo: “Il lato affascinante del neurone” oppure “Il maghetto del vetrino”. Il “problema”, chiamiamolo così, nasce dal fatto che Ilaria Cacciotti non è solo una scienziata capace, è anche una bella ragazza, con un sorriso disarmante. E allora, improvvisamente, quello che ha scoperto, come lo ha scoperto, in quanti mesi del suo tempo sottratti ad altro, passa in secondo piano rispetto alla sua immagine. Bene ha fatto a denunciarlo, nel silenzio generale, la brava Michela Murgia che in un breve editoriale al fulmicotone ha messo il dito in una piaga aperta e non riconosciuta. “Questo è un Paese dove puoi avere un cervello vivace” - ha scritto la Murgia - “ma se hai la ventura di essere donna, giovane e avvenente, ecco che sui giornali la tua scienza diventerà graziosa e la fatica della tua ricerca non sarà lavoro, ma magia”. Nei giorni in cui alcuni dissennati ritengono prova di arguzia insultare una donna, ancorché Ministro, per il colore della sua pelle, evidentemente non trovando altri argomenti fondati di contestazione, questo ennesimo, piccolo esempio di comunicazione in cui la protagonista è una donna, ci dà molto da riflettere in tema di parificazione. Le donne danno molto alla vita sociale, politica intellettuale, scientifica di ogni Paese in cui sono messe nella condizione di poter lavorare. Eppure, quando raggiungono un obiettivo, sono valutate per altro, non per il risultato ottenuto. E, duole dirlo, spesso le più feroci in questo gioco al massacro sono proprio altre donne, pronte a rimproverare loro di aver sottratto tempo alla famiglia, di non esservisi dedicate di più o, senza sapere il perché e il percome, addirittura di non aver avuto figli. Non risulta che qualcuno rimproveri pubblicamente a un qualunque imprenditore, politico, scienziato di lavorare diciotto ore al giorno fuori casa, ma se a farlo è una donna, per quanti buoni frutti porti, il fuoco di fila è inevitabile. Papa Francesco ai giovani e ai vescovi riuniti nella Gmg di Rio ha esortato a riconoscere il ruolo alle donne nella Chiesa: “Perdendole, la Chiesa rischia la sterilità”. Ci permettiamo di aggiungere: e non solo la Chiesa.

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