La prof abilitata che lava i piatti

Capita di leggere anche notizie come questa: «Prof. abilitata fa la bidella anche dove insegnò». Si tratta di Francesca Capecce di Termoli. La sua storia ci dice quanta dignità può mostrare una persona che lotta senza perdersi d’animo. In breve. La prof. Capecce si diploma in Tecnica dei Servizi Turistici, e nel 2006 comincia come docente di laboratorio in “Accoglienza Turistica” negli Istituti Alberghieri e Professionali. La riforma Gelmini riduce drasticamente le ore di alcune materie di studio negli Istituti Tecnici e professionali tra cui la sua. La nostra prof. non si perde d’animo e pur di guadagnare punti nel 2013 frequenta, non senza sacrifici famigliari ed economici, uno dei corsi Pas (Percorsi Abilitanti Speciali) indetti dal Miur. Con caparbietà e determinazione riesce a coniugare esigenze di famiglia con l’impegno nello studio. Supera gli scritti e gli orali e così si abilita nella sua materia, ma non ottiene la cattedra. L’abilitazione, però, le consente di occupare una migliore posizione in graduatoria, ma la cattedra tanto agognata non arriva e né arriverà. Decide allora di inserirsi nelle graduatorie d’Istituto come bidella e sperare così in qualche supplenza. Una scelta oculata che si concretizza in diverse supplenze temporanee. L’attendono le pulizie delle aule, dei bagni, il lavaggio delle stoviglie nell’Istituto Alberghiero, la sistemazione dei laboratori, l’impegno come centralinista e per le sue abilità professionali viene chiamata come assistente amministrativa anche nelle segreterie scolastiche. Diverse esperienze in diverse scuole del territorio tra cui l’Istituto Alberghiero che l’ha avuta come docente supplente. Una immensa dignità professionale e umana accompagna la prof. in questo suo cammino. All’Istituto Alberghiero i suoi ragazzi la riconoscono e continuano a chiamarla prof. L’ammirano, la incoraggiano, l’apprezzano per il senso del dovere e il sacrificio messo in campo mentre rimane sempre vivo il suo più profondo desiderio: insegnare. Una storia come tante che insegna quanta dignità accompagna talvolta la vita delle persone. Persone speciali che affrontano con serenità e accettano con dignità un posto di lavoro diverso dal titolo di studio conseguito. Dignità che non troviamo, ad esempio, nell’Istituto Professionale «Pisani» di Paola, in provincia di Cosenza, dove due insegnanti passano da un battibecco a uno scontro fisico in piena regola con grida, schiaffi, pugni e tirate di capelli, il tutto davanti agli occhi divertiti degli allievi. Una rissa degenerata in corridoio per futili motivi durante un’ora di lezione e finita con una al pronto soccorso e l’altra a presentare denuncia alla locale stazione dei carabinieri. Per entrambe si apre un rapporto disciplinare da parte della mia collega. Sono episodi profondamente diversi, ma tremendamente attuali che danno l’idea di come il buon senso, la ragione, che a nessuno manca, venga valutata da qualcuno e rifiutata da altri. Talvolta le vicende personali possono indurre a diffidare del buon senso. La prof. Capecce ne ha avuto motivo, ma le sue scelte, il suo coraggio nel vivere dignitosamente il disagio esistenziale, hanno dimostrato come sia “saggio” applicare una regola fondamentale nella vita: mai piangersi addosso! Quando la sicurezza vacilla, quando le situazioni si divertono a offrire sorprese una dietro l’altra, quando il timore di sbagliare si impone più della convinzione di guardare avanti, allora bisogna aggrapparsi al proprio intuito positivo, a quel particolare «esprit de finesse» che Blaise Pascal ci ha fatto conoscere, aprendo la mente alle ragioni del cuore. «Non è sufficiente possedere un buon ingegno; la cosa veramente importante è applicarlo bene» ci ricorda Cartesio. In questo trovo eccellente il comportamento della prof.ssa Capecce. Non si è persa d’animo; il suo stato d’animo non è degenerato in invettive contro chicchessia, non ha provato disagio nel lavorare come bidella nella scuola che l’ha vista in cattedra come insegnante, né frustrazione per l’ingiusta situazione subita. «Mi chiamavano professoressa anche se lavavo i piatti nel laboratorio di cucina invece di stare in cattedra» racconta con orgoglio la professoressa. Al contrario. Ha trovato nell’alternativa professionale la risposta alla voglia di mantenere vivo quel particolare rapporto con la scuola, con gli allievi, gli stessi che l’hanno avuta come insegnante prima e accolta e festeggiata con il camice da bidella dopo. Brava la nostra prof.ssa Capecce! Un’insegnante che con la propria decisione, il proprio comportamento ha saputo prendere le distanze da certi luoghi comuni che teorizzano funzioni importanti da quelle meno importanti in luoghi educativi come le scuole. Nella scuola ogni ruolo, ogni funzione ha la sua immancabile importanza. Dal bidello al preside tutti dovrebbero concorrere a dare l’esempio in un ambiente che di esempi ha ampiamente bisogno. Il condizionale è d’obbligo se pensiamo a quanto accaduto all’Istituto Professionale «Pisani» di Paola. Dare l’esempio è il massimo che un insegnate possa offrire giustappunto per aiutare i ragazzi ad orientarsi nelle scelte e nei comportamenti. Certo che si rimane colpiti da contraddizioni così evidenti e così presenti nel mondo della scuola. Docenti abilitati a salire in cattedra che scoprono, una volta abilitati, di non avere la cattedra, sono situazioni che lascerebbe chiunque senza parole. Sono contraddizioni evidenti che disorientano per la stessa assurdità che da queste nascono. Tuttavia per «captatio benevolentiae» siamo chiamati ad apprezzare la decisione presa dalla nostra docente fino a rendere meno amara la sua attuale situazione di lavoro con la speranza di vederla un giorno salire in cattedra e realizzare così il suo sogno professionale. Non che questo giustifichi chi ha reso concreta la scelta fatta dalla docente pur nella convinzione di trovarsi di fronte a una parentesi provvisoria della vita professionale. Il timore è che da noi, come spesso accade, non c’è niente di più definitivo del provvisorio, e questo avviene, talvolta, nella piena consapevolezza di tutti. Dal punto di vista etico questa è un’invenzione delle pastoie burocratiche a cui siamo abituati ad assistere e dalle quali siamo in tanti nel rimanerne avvinghiati. La prof.ssa Capecce ha voluto raccontare la sua storia ad alcuni quotidiani e ciò ha reso possibile scendere al suo fianco ed essere partecipi della sua dignità. «Forse non cambierete il mondo - scrive Bertrand Russel - ma avrete contribuito a inclinare il piano della vostra direzione e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata». Ed è proprio quello che ha fatto la prof.ssa Capecce.

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