La povertà, il debito e... il Natale

Ritorna il tempo di Avvento: per definizione il tempo della vigilanza, dell’attesa paziente; il tempo nel quale la frase così spesso ripetuta nella liturgia: “nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”, dovrebbe ritrovare la sua verità, essere sottratta alla ripetizione stanca, sostanziare la vita dei credenti e delle comunità cristiane, sottrarle al logoramento e all’appiattimento su un presente tormentato o privo di spessore. Mi chiedo da pastore: cosa aspetta la mia gente? Quale sarà il pensiero profondo che abita il cuore di ciascuno, mentre i nostri paesi e città si vestiranno a festa con le luci e gli addobbi, come per esorcizzare un tempo duro e complesso? Sapranno aspettare i doni di Dio gli uomini e le donne che hanno perso il lavoro e non vedono immediatamente un futuro gravido di speranza? Cosa aspettano le nostre famiglie, quelle dove i figli ci sono davvero, due, tre, oppure che li aspettano o li desiderano ardentemente, al pensiero che in questi anni, nonostante le belle parole e le promesse, alle generazioni che verranno, lascieremo solamente pesi insopportabili e un debito disumano? Cosa diremo noi preti alla nostra gente, chiamati a dire parole piene di promesse e che solo Dio mantiene fino in fondo, mentre sentiranno martellanti i colpi duri che annunciano tempi “di lacrime e sangue” e tutte quelle frasi che a molti rimarranno incomprensibili circa i movimenti altalenanti del Pil, le cifre da capogiro per l’impennarsi degli spread?

Non vogliamo che la Parola di Dio, sulla quale il tempo dell’Attesa ritrova il suo significato, rimanga disattesa o addirittura sia considerata vuota oppure inutile, perché si dice, i problemi sono altri, le questioni sono altre. I problemi certo sono veri, la nostra società è salita su un monte e ora che deve scedere vede con difficoltà il sentiero, spesso ingenua come un micetto che sale e sale sulla pianta e poi ha bisogno di aiuto per poter scendere serena a terra.

Aspettare Dio che nel Figlio ci porta la sua stessa vita non è irrilenvante per questo nostro tempo. Proprio l’attesa di Lui potrebbe educare le nostre attese, riempire nuovamente il nostro tempo di un gusto inedito, alleggerirci nei movimenti troppo appesantiti da cose inutili che sono diventate purtroppo delle necessità. Non è inutile affrontare coraggiosamente i problemi di oggi con il pensiero rivolto alla potenza della Parola di Dio. Se la sua Parola vosse ascoltata e diventasse veramente la “lampada che illumina i passi di ciascuno” allora le necessità avrebbero una risposta sicura dalle mani tese della solidarietà. Uno dei problemi dei nostri tempi è l’invecchiamento dei paesi europei compresa l’Italia per la oggettiva denatalità. Abbiamo speso tempo, energie, risorse e spesso dignità pensando a piccoli istanti di vita comoda e sicura, senza preoccuparci del domani e del futuro: siamo stati più cicale che formiche e ora il tempo delle vacche magre ci ha svegliati lasciandoci il tremore nelle carni al pensiero che tutto potrebbe precipitare. Molti hanno vissuto come se Dio non esistesse, non avesse nulla da dire e da dare, ma ora che mancano i beni e l’uomo sta perdendo il suo potere sul mondo, tutto diventa catastrofe.

Torniamo invece ad aspettare Dio, a lasciarci educare dalla sua Parola, alla pazienza distrutta dalla spinta tecnologica che ci ha abituati al tutto subito. Torniamo insieme ad aspettare Dio che viene, annullando le spinte terribili che nascono dall’arrivismo e dalla gelosia. Torniamo ad aspettare Dio nella sua semplicità, vivendo la gioia di una sobrietà dignitosa che sa rallegrarsi di tutto.

Torniamo ad aspettare Dio che viene per dare un volto nuovo alla nostra vita.

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