La piantina che... visse due volte

Riconoscere la vita non richiede superpoteri, solo attenzione. Tornando a casa, mi sono imbattuta in due piantine in vaso, gettate a un dipresso, ancora avvolte in un imballaggio inutilmente chiassoso. Un regalo avvizzito, una strenna sgualcita. Però tra le pieghe della carta crespa, intrecciato ai rami appassiti, occhieggiava un ramoscello verde, foglioline ostinate e tenere. Ho proseguito senza fermarmi, lo sguardo distratto già gettato altrove, ma poi un pensiero insistente mi ha fatto tornare indietro e raccogliere il vasetto. La piantina non parlava, non miagolava, non si muoveva, eppure… Era indiscutibilmente ancora viva e lasciata lì avrebbe finito per seccarsi o per fare la fine del cassonetto. In ogni caso era spacciata. Ora, è bene premettere che sono un noto “pollicenero” e che pochi, coraggiosi, darwinianamente predisposti esemplari del mondo vegetale mi sopravvivono. Ma il germoglio che non voleva morire meritava una chance, per quanto risicata. Contro ogni previsione, a distanza di un anno la sconosciuta piantina d’appartamento continua a farmi compagnia. Cresciuta forse un po’ più pallida e rachitica rispetto allo standard delle sue consorelle, fa comunque bella mostra di sé.La guardavo ieri e pensavo alla sua piccola storia mentre leggevo della mamma texana in coma cui hanno “staccato la spina”. Marlise Munoz, colpita da aneurisma il 26 novembre 2013, era incinta. Per questo i medici dell’ospedale la tenevano in vita: al momento del ricovero si erano accorti del cuoricino che pulsava e non l’hanno abbandonato. Formalmente, nell’opporsi ai parenti della donna che chiedevano la sospensione delle cure, i medici hanno applicato la legge del Texas che protegge il bambino che cresce nel grembo della madre. Ma non si può non pensare alla loro sorpresa, forse al sorriso, nel sentire il battito non previsto, veloce, tenace, vivo. Che dichiarava un’esistenza, che rivendicava la sua presenza nel mondo. Il giudice però è stato di tutt’altro parere e ha ordinato che si staccassero le macchine che tenevano in vita madre e figlio, ormai arrivato a 22 settimane. “Se è cerebralmente morta, è morta e non è più una paziente”, ha detto Thomas Mayo della Southern Methodist University di Dallas, supportato dal bioeticista Arthur Kaplan per cui “La legge non può imporre ai medici di fare l’impossibile e curare qualcuno che è andato all’altro mondo”. Solo che, con buona pace degli esperti, i pazienti erano due. Di cui uno innegabilmente vivo e impossibile da ignorare con i suoi 150 battiti al minuto. Decisamente meno silenzioso della mia piantina.Una vicenda che ricorda quella italiana, recentissima, di Carolina Sepe. Vittima di uno sparo alla testa durante una lite, Carolina è morta il 4 gennaio all’ospedale Cardarelli di Napoli dopo quattro mesi di coma e aver portato alla nascita il figlio che aspettava. È una bimba, si chiama Maria Liliana.

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