La pena di morte rientra dalla finestra

Frank ha chiesto di morire. Non ce la faceva più a sopportare il peso della colpa, della condanna, delle sue pulsioni. E ha chiesto allo Stato di essere ucciso. Lo Stato, il Belgio, ha risposto di sì, che si può fare, che questa è una condizione sufficientemente intollerabile per un uomo da poter richiedere di essere espulso dalla vita. Di fatto si è reintrodotta surrettiziamente la pena di morte, per di più su commissione personale, il massimo alibi possibile: “L’ha chiesta lui!”. Non si può tacere di fronte a questa nuova, sconcertante, aberrazione del diritto. Frank è un omicida, uno stupratore, un uomo con gravi problemi comportamentali, ma soprattutto è un criminale che deve scontare la sua pena. E la deve scontare fino in fondo, non per giustizialismo o per vendetta, ma per rispetto verso le sue vittime. Il carcere deve essere luogo e opportunità di riflessione, di consapevolezza, financo di redenzione per chi crede o si avvicina alla fede. Chiedere di essere liberati dalla propria condanna è una scorciatoia cui uno stato democratico dovrebbe rispondere di no con fermezza, facendosi invece garante che chi ha commesso un crimine sconti per intero la pena comminata in un ambiente rieducativo. Invece si è scelto di innescare un pericoloso precedente e altri 15 detenuti hanno già presentato la stessa richiesta: preferiscono la pena di morte al sopravvivere ai propri errori, alla solitudine. Il senso di colpa è una brutta bestia da affrontare, persino per chi si autodefinisce “un mostro” e ha passato gli ultimi trent’anni della sua vita tra le mura di un carcere.Frank Van Den Bleeken ha 52 anni. Quando muore qualcuno a quell’età i conoscenti commentano “così giovane...”. Ma Frank si sente troppo vecchio per vivere, di una vecchiaia giunta anzitempo, gravosa di pene e insopportabile. Non ce la fa più ad aspettare, magari altri trenta interminabili anni, che la morte si ricordi di lui e lo liberi dall’angoscia di rivivere nella sua testa, ogni giorno, il male commesso.Pentirsi dei propri peccati non vuol dire chiedere di morire, ma adoperarsi perché il pentimento renda uomini migliori. Come Fëdor Dostoevskij fa dire a Raskolnikov chiudendo “Delitto e castigo”: “Egli ignorava perfino che quella nuova vita non gli veniva data così, gratuitamente; che avrebbe dovuto pagarla, e a caro prezzo: pagarla compiendo qualcosa di grande negli anni a venire. Ma qui, ormai, comincia una nuova storia, la storia della rinascita di un uomo, della sua graduale trasformazione, del suo lento passaggio da un mondo a un altro mondo, del suo incontro con una realtà nuova e fino a quel momento completamente ignorata”.

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