La manovra tra Iva, tagli

e pressioni

Paradossale la parabola politico-economica di Silvio Berlusconi: vinte le elezioni del 2001 con lo slogan «Meno tasse per tutti», sta concludendo la sua esperienza governativa con la realtà di più tasse per molti. La serie di manovre economiche messe in atto - tardivamente e in tutta fretta - per rispondere alla speculazione finanziaria che ha preso di mira i nostri conti pubblici, è il risultato di un mix tra tagli di spesa (alcuni strutturali, altri temporanei) e incremento della pressione fiscale. La fretta, e questa è un’aggravante poiché il problema dell’insostenibilità dei nostri conti pubblici è stato negato fino all’altro ieri, ha portato a salassare tre categorie sociali facili da colpire: i dipendenti pubblici, i pensionati e coloro che dichiarano redditi medio-alti.Se i dipendenti pubblici devono ancora una volta stringere la cinghia (sono previsti tagli alle Province e agli enti minori, progressiva riduzione degli organici, differimento di due anni del pagamento del tfr, nuove norme sulla trasferibilità del personale dentro la pubblica amministrazione e altro ancora), risulta assai sgradevole l’aggravio di tassazione previsto per coloro che dichiarano più di 90 mila euro (+5%) e 150 mila (+10%), già oberati da una maxi tassazione del 43%. Se risponde a criterio di equità l’aver chiesto a chi più ha, è altrettanto vero che si chiede a chi generosamente dà tutti gli anni proprio perché costretto a denunciare fino all’ultimo euro guadagnato. Mentre sfuggono proprio gli evasori fiscali, coloro cioè che dichiarano al Fisco cifre irrisorie e comunque ben inferiori ai reali guadagni. Ma l’esigenza di fare cassa subito non ha guardato per il sottile questo distinguo pur rilevantissimo in sede di equità. Rimane che mezzo milione di italiani saranno costretti a versare all’Erario un’altra fetta del proprio reddito, quando ormai è accertato che l’evasione fiscale sottrae al Fisco italiano qualcosa come 120 miliardi di euro l’anno: un’enormità, una cifra tale che ci permetterebbe di dimezzare il nostro debito pubblico in soli 8 anni.Insomma è una bella fetta di ceto medio a pagare il conto che l’Unione europea ci ha presentato per sostenere il corso dei nostri titoli di Stato, i cui valori erano in caduta libera. In attesa poi delle norme che rivoluzioneranno l’assistenza sociale, le agevolazioni fiscali a famiglie e imprese e al non profit: saranno lacrime e sangue pure in quell’occasione. Che sia stata una manovra d’urgenza lo testimoniano non solo i tempi (a Ferragosto, realizzata in pochi giorni) ma pure la mancanza di misure che parallelamente all’inasprimento fiscale prevedessero politiche di sviluppo economico. Oppure si può definire tale la norma, passata sotto traccia ma ben più «rivoluzionaria» rispetto al taglio di qualche Provincia o dei voli di Stato per i parlamentari, che prevede la possibilità data alla contrattazione collettiva di superare i limiti ai licenziamenti stabiliti dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Insomma dalla finestra sta entrando il concetto che un licenziamento - seppur senza «giusta causa o giustificato motivo» - non comporta più il reintegro nel posto di lavoro ma solo un risarcimento di tot mensilità. Disciplina che ci viene richiesta dall’Unione Europea per sbloccare un mercato del lavoro ritenuto «rigido» e diseguale: regole diverse in aziende con più o meno di 15 dipendenti; tra lavoratori contrattualizzati e quelli «precari».Però i sindacati se ne sono ovviamente accorti, e l’iter della norma non sarà certo in discesa, come pure qualsiasi altro aggravio delle condizioni di pensionamento, soggette a continue restrizioni. Nel mirino ci sono ora le pensioni di anzianità, quelle che combinano anni di contributi (35) ed età (61-62 anni). Ma tutte le norme presentate dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti saranno soggette al vaglio parlamentare, per la volontà dichiarata dal Governo di non porre la fiducia sul provvedimento. Quindi quel che è stato deciso a Ferragosto, non è detto che rimanga a settembre. Così come potrebbe far capolino l’altra grande misura prevista, e poi accantonata, per far quadrare i conti e portare sull’altare della Bce e dell’Ue gli ulteriori 45 miliardi di euro di «risanamento»: l’aggravio dell’Iva di un 1%. Una misura questa che tasserebbe maggiormente i consumi e non i redditi. Quindi colpisce tutti indistintamente e anzi maggiormente chi spende di più. L’uovo di colombo? Non proprio: un aumento di un punto sarebbe quasi impossibile da scaricare sui prezzi, e quindi si rifletterebbe sui ricavi aziendali. Se invece si scaricasse sui prezzi delle merci e dei servizi, si teme possa aggravare l’inflazione. Che in realtà è depressa da consumi stagnanti che ben difficilmente s’infiammeranno in futuro, soprattutto dopo simili salassi.Non si scarti insomma un colpo di scena finale: via buona parte delle «tosature» sui redditi per un incremento dell’Iva che porterebbe agli stessi risultati con più equità e meno lacrime e sangue. E la cosiddetta «casta»? Che sacrifici si sono autoimposti i politici? Ce ne sono, anche se si viene a sapere che i deputati regionali siciliani si sarebbero fatti pagare per metà dalla Regione una polizza individuale... anti-sommossa di piazza. Usiamo il condizionale perché la notizia, seppur vera, risulta assolutamente incredibile.

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