La maledetta eccessiva confidenza

«Ci sono professori che danno pacche sul sedere, altri che chiedono il numero di telefono e poi spediscono sms ed e-mail» sono parole rilasciate alla stampa da una delle studentesse del Liceo Soleri di Saluzzo (Cuneo), salito suo malgrado agli onori della cronaca per la brutta storia legata al prof. Walter Giordano. Un insegnante molto noto in città, tanto stimato da molti suoi colleghi quanto apprezzato dai suoi numerosi studenti per la chiarezza argomentativa dei contenuti, l’eleganza espositiva e l’umanità nei rapporti. Una sorta di “Attimo fuggente” che riesce a catturare il cuore e la mente di tanti suoi studenti. Un particolare “esprit de finesse”, per dirla come Pascal, rende l’aria piacevole fino a vivere la lezione come un sano momento culturale e la vicinanza della relazione educativa come intima richiesta di aiuto. Insomma un mito! Ma all’improvviso tutto crolla. Uno tsunami violento spazza via questo quadro idilliaco e porta alla luce una realtà a tinte fosche. Una brutta storia rimette tutto in discussione. Il prof. Giordano, ora agli arresti domiciliari, viene sospeso dall’insegnamento in attesa che la sua posizione venga chiarita dagli inquirenti. Storie di sesso e di coercizioni fanno da sfondo a questa triste storia che per certi versi ha dell’incredibile. Si parla di “violenza sessuale con abuso di autorità” ai danni di due sue studentesse. Tralascio i fatti che lo vedono coinvolto e per i quali sarà la magistratura ad emettere un giudizio. A me qui interessa esaminare quell’atto confidenziale che tanta preoccupazione suscita e che finisce col generare delle forti perplessità dal punto di vista educativo. Personalmente sono totalmente contrario a che i docenti, nell’esercizio delle proprie funzioni, si rapportino agli allievi in modo amicale, fino a sgretolare quella sottile linea funzionale che delimita il confine tra compiti e ruoli. Sono convinto che l’atto confidenziale arricchito e alimentato da una indebolita deontologia professionale, rende vana qualsiasi azione educativa fino a compromettere la stessa azione didattica. L’ambito scolastico richiama ruoli diversi perché diverse sono le personalità presenti sul campo, ma anche compiti diversi perché diverso è l’impegno a cui si è chiamati. L’uno educa, l’altro viene educato. E qui non ci possono essere confusioni. Due modi di rapportarsi che non possono e non devono mischiarsi come si fa con la maionese, pena una confusione che non aiuterà mai a capire a cosa è chiamato uno e a cosa è chiamato l’altro. Certo la storia di questo colto insegnante, almeno quella salita di recente agli onori della cronaca, è colma di particolari un po’ folli e un po’ espressione dello specchio dei tempi. Folli perché vissuti da giovani adolescenti catturati dal fascino professionale di un prof ridondante nelle sue abilità comunicative utilizzate come mezzo e strumento per suscitare una sorta di sudditanza psicologica. Ma i tempi sono quelli che sono. Insegnanti e ragazzi vivono sulla propria pelle le tante contraddizioni sociali, culturali, etiche, economiche, educative tanto per citare le più presenti nella vita quotidiana. Molti segnali offrono una lettura di un Paese fermo o che fa fatica a camminare. Una tale situazione induce i ragazzi ad avere scarsa fiducia negli adulti e in quello che rappresentano. E se per un docente ardua è l’impresa di preparare un giovane alla vita, a maggior ragione per un giovane sarà ancor più arduo seguire un insegnante che non riesce a trasmettere se stesso come esempio e testimonianza. Mai può essere giustificato un rapporto che da professionale si trasforma in confidenziale fino a mischiare la funzione pubblica con la spavalderia privata. Galeotti furono i tanti messaggini scambiati (più di 80 al giorno). Viviamo strani tempi. Tempi che hanno cambiato ab imis la vita di tutti noi. Internet, tablet, e-mail, sms hanno trasformato il mondo delle relazioni. Hanno accorciato le distanze non solo in termini di spazio-tempo, ma anche nel suo significato sociale fino a confondere il reale col virtuale. Rifugiati nell’etere ci sembra di essere più protetti, più al sicuro e questo scatena ogni nostra convinzione fino a spingere i sentimenti in uno spazio senza limiti. Professori e alunni trovano nella tecnologia l’ottimale condizione per trovare un equilibrio fuori dalle righe nei rapporti che da discreti e rispettosi, possono trasformarsi in sfacciati e irriverenti. Salta il riconoscimento della funzione dell’educatore a cui si sostituisce quella dell’amico o peggio ancora, come nel nostro caso, quella del seduttore. Il professore si allontana così dalle sue responsabilità educative. Vengono annullate le distanze, le relazioni differenti, i ruoli riconosciuti. Si annullano empatie e condivisioni. I messaggi via etere annullano ogni condizione dal momento che prevalgono e si sostituiscono alle relazioni umane. «Ho perso la testa» dice il professore ora pentito e raccolto in meditazione. Ma io dico che non la testa ha perso, ma la dignità professionale e come dice Biante, uno dei sette saggi di Atene, «cosa difficile è ora sopportare con dignità un rovescio di fortuna». Già. Si possono ritenere fortunati i suoi studenti che hanno subito quell’ammiccante fascino dalla doppia personalità tanto da ricordare Giano? Si può ritenere fortunato il prof che, approfittando del suo ruolo, ha trasformato una relazione educativa in occasione emotiva fuori controllo? Checché se ne dica un rapporto confidenziale con i propri allievi finisce col falsificare un rapporto professionale fino a compromettere seriamente lo stesso riconoscimento di autorevolezza. Ora il prof ha chiesto perdono per quanto è di sua responsabilità. Sa di aver distrutto un mito, di aver demolito una certezza culturale costruita su una riconosciuta autorevolezza che difficilmente ora potrà essere restituita. E’ sicuramente un momento difficile che può demolire l’animo fino a renderlo immemore del cammino finora costruito. Tuttavia per qualche studentessa il prof. Giordano «è un uomo che non ha insegnato solo cose di scuola, ma lezioni di vita». Sarà. Ma la scuola non è una fiction dove tutto finisce in un letto dopo “una corrispondenza d’amorosi sensi”. Questo succede quando non si distinguono più i comportamenti giusti da quelli trasgressivi, equivoci, dannosi alla formazione della persona. Altro che lezioni di vita. Così si affermano le false verità.

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