La lunga strada dei presidi

A pochissimi giorni dall’avvio delle lezioni è arrivata la tanto attesa e sospirata disposizione del Mef (Ministero Economia e Finanze) - che per intenderci è il ministero che apre e chiude i cordoni della borsa - di immettere in ruolo altri 620 presidi vincitori dell’ultimo concorso, di cui 162 nella sola Lombardia. Una decisione saggia e opportuna che dà una bella spallata decisiva al sistema delle reggenze multiple che da sistema straordinario era oramai da anni diventato ordinario. Un sistema da sempre considerato un punto debole della nostra amministrazione scolastica tanto da accrescere una situazione di disagio interno con pesanti ricadute sulla qualità dell’insegnamento dal momento che priva le scuole di una qualificante e necessaria guida. Eppure, nonostante questi ultimi interventi del Ministero, ci sono ancora poco più di un migliaio di scuole che verranno necessariamente affidate in reggenza. Tra queste le 101 scuole della Campania che sono in attesa dei presidi vincitori dell’ultimo concorso fermi al palo per alcuni strascichi giudiziari che in quella regione si sono avuti. Ricorsi, controricorsi, denunce di irregolarità alla magistratura, sentenze dei TAR, non hanno fatto altro che allungare i tempi di una procedura che doveva concludersi in questi giorni, ma che continua a tenere sulle spine, e non sappiamo per quanto tempo ancora, molti colleghi fiduciosi di raggiungere quanto prima le sedi rimaste ancora vacanti. Sono questioni molto delicate che vedono il coinvolgimento di decine di persone cha a vario titolo e a tutti i livelli hanno seminato dubbi di correttezza e mancanza di rispetto delle norme in alcune fasi concorsuali, gettando discredito su chi invece ha partecipato al concorso con sacrificio, dispendio di energie, impegno e correttezza. A tutti i colleghi con nuovo incarico va il più sincero augurio di un buon lavoro in un ambiente scolastico che attende dal preside una guida ferma e sicura, aperta e solidale fatta di disponibilità e collaborazione finalizzate a una migliore qualità del servizio. La dirigenza scolastica così come inquadrata dal Decreto Legislativo n°59 del 1998, riconosciuta ai presidi a partire dal 2000, vissuta tra alti e bassi, illusioni e speranze, vive ancora oggi un periodo che mal si concilia con lo spirito che il legislatore aveva dato all’autonomia scolastica (L 59/97 art.21, DPR 275/99). La figura del preside è passata negli ultimi decenni attraverso un crogiuolo culturale che ne ha fatto una specie di ritratto incompiuto. Si è passati dalla figura del preside visto e sentito come un «unus inter pares» a quella di capo d’istituto sentito e visto, invece, come un «unicus contra pares». Ma poi con gli anni ottanta ammaliati dalla cultura roboante della «Milano da bere», si arriva a parlare di «preside manager». Un concetto, quello di manager, un po’ strano se applicato alla scuola visto che la scuola non è un’azienda e il rapporto tra docenti e presidi non può essere un rapporto aziendalistico. Sono gli stessi studenti a suggellare questo principio dal momento che non si ritengono alla pari di carte da passare da una scrivania all’altra, ma persone da formare e soprattutto da educare. Si susseguono dibattiti e convegni incentrati sulla ricerca dei compiti da affidare a questo ruolo manageriale. Ma tutti i dibattiti non hanno portato dove la categoria sperava di arrivare: piena autonomia di gestione della scuola. Finalmente con gli anni novanta si apre una nuova prospettiva culturale su questa figura che da manageriale diventa Dirigenza Statale. Una qualifica, quella della dirigenza, riconosciuta ai presidi a partire dal 2000 nella specifica area della dirigenza scolastica e che fa ben sperare nel cambiamento di una cultura di rapporti e di valori che non volevano essere di forza, né rappresentare la quintessenza di tutti i cambiamenti sociali men che meno aziendali. Fu per molti colleghi il raggiungimento di un traguardo che faceva sperare in ben altri traguardi da raggiungere come la dirigenza unica congiuntamente a un maggior riconoscimento di autonomia gestionale. Con gli anni però ancora una volta le illusioni prendono il posto delle certezze. Anzi. Non sono poche, oggi, le associazioni di categoria che si ritengono deluse da promesse fatte e mai mantenute. L’ultima in ordine di tempo risale al 7 agosto scorso quando viene reso noto il Disegno di Legge n° 1577, dove all’art. 10 si parla di escludere la dirigenza scolastica dall’istituenda dirigenza unica. Un mancato riconoscimento che vuol mantenere i presidi, ora dirigenti scolastici, in un’area riservata, specifica, atipica con il risultato di sminuire l’impegno professionale che i presidi svolgono nelle scuole. Un impegno che ruota attorno a precisi aspetti di natura amministrativa, ma anche e soprattutto di natura propositiva. La scuola è la prima istituzione sociale extradomestica dopo la famiglia che si occupa di formazione e di educazione inserita com’è in una realtà dove i modelli con cui interagisce, sono sempre più complessi, sempre più protesi a cercare i cambiamenti oltre i confini nazionali. E’ in questo quadro, nel frattempo profondamente mutato, che si inseriscono i nuovi presidi chiamati a gestire le scuole secondo una rinnovata cultura che vede il territorio non come un bacino di utenza da cui attingere i propri iscritti, ma come una risorsa con cui entrare in dialogo e le scuole non come realtà autonome che vedono negli aiuti finanziari ministeriali le uniche occasioni per dividere le briciole, ma come un anello della catena che possa contare sulle energie produttive e territoriali senza che queste debbano sostituirsi ai doveri dello Stato. Né la scuola va vista come una riserva climatica dove mandare i figli per alcune ore della giornata, ma come un capitale sociale i cui alunni rappresentano un’opportunità di cui lo stesso territorio ne beneficerà. Dunque una nuova cultura si affaccia sul mondo della scuola che vede nel preside una figura attenta alle risorse produttive, sociali, formative del territorio fino ad attirare nella scuola anche capitali privati a tutto beneficio dell’azione didattica. Per dirla in parole povere un preside non deve muoversi aspettando i finanziamenti dal Ministero, ma pensare ad allacciare e armonizzare rapporti e relazioni in ambito locale al fine di individuare bisogni e strategie, predisporre modelli operativi, monitorare i processi e valutarli.

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