La grande muraglia digitale

Nel suo 6° Transparency Report, il rapporto semestrale con il quale Mountain View divulga i dati relativi al numero di richieste di informazioni degli utenti ricevute da autorità governative e tribunali, Google non aveva neppure potuto pubblicare le statistiche relative alle richieste giunte da oltre Grande Muraglia: Pechino aveva posto il Segreto di Stato. Un segnale chiaro di quanto sia stretto il controllo esercitato dal regime cinese sulla Rete, tanto forte che neppure le spalle larghe di un colosso come BigG sono riuscite a reggere alle pressioni esercitate dalle Autorità ed alla fine la funzione anti-controllo è stata rimossa.È di questi giorni la protesta dei giornalisti cinesi contro le restrizioni alla libertà di informazione, dopo l’ennesimo episodio di censura di un articolo (intitolato “Il sogno cinese, il sogno del costituzionalismo”) nel quale si parlava delle speranze di cambiamento per il nuovo anno e si chiedeva un governo costituzionale: contenuto critico eliminato e sostituito da un’introduzione propagandistica. Il governo di Pechino è da sempre attento a filtrare ogni possibile protesta contro l’ordine costituito ed Internet, assieme alla stampa tradizionale, è tra i bersagli preferiti della scure censorea.Dalla primavera scorsa la piattaforma di microblogging Sina Weibo, una sorta di Twitter cinese, ha introdotto un sistema “a punti”, gli utenti sono sanzionati attraverso la riduzione dei punti in caso di violazioni delle regole – come la diffusione di “false voci” – e sospesi quando hanno esaurito i punti a loro disposizione. Così su Weibo, secondo l’articolo 13 delle nuove condizioni d’uso, è vietato “diffondere voci”, “nuocere all’unità della nazione”, “mettere in pericolo la sicurezza nazionale”, “disturbare l’ordine sociale”, e l’uso di espressioni in codice, abbreviazioni e omonimi – come ad esempio “bo” (pomodoro) e “xi” (stufato) per alludere al leader Bo Xilai, ex leader politico. Pechino ha inoltre imposto ai siti di microblogging di assumere moderatori per monitorare l’attività e “epurare” i contenuti problematici e nel 2010, questi siti sono stati anche costretti a nominare “un commissario di auto-disciplina” per monitorare e censurare tutto quanto fosse in grado di minacciare la sicurezza e la stabilità sociali della Cina, come le questioni politicamente sensibili. Neanche a dirlo, Pechino è nella lista dei “nemici della Rete” redatta annualmente da Reporters Sans Frontieres sin dal 2008, anno della prima pubblicazione della ricerca.La ruggine tra Google ed il regime comunista è di vecchia data e nel corso degli anni si è arrivati ad episodi che hanno sfiorato il caso diplomatico internazionale, come nel giugno del 2011 quando Mountain View denunciò un attacco sferrato da oltre la Muraglia contro gli account Gmail di funzionari del Governo degli Stati Uniti, attivisti politici cinesi, burocrati delle nazioni asiatiche e soprattutto della Corea del Sud, personale militare e giornalisti. Un episodio sul quale era intervenuta anche l’amministrazione Obama con le dure prese di posizione dell’allora responsabile della politica estera a stelle e strisce, Hillary Clinton, e del Segretario alla Difesa, Robert Gates.La funzione anticensura di Google avvertiva gli internauti cinesi che la parola che si stava cercando poteva essere “sensibile” per il governo di Pechino, così da consentire loro di non andare avanti e di evitare, quindi, denunce e punizioni. Nessuna spiegazione ufficiale da parte del motore di ricerca californiano, che si è limitato a confermare la rimozione della funzionalità; una decisione che rafforza la cosiddetta “Grande Muraglia Digitale”, il complesso sistema di filtri adottato in Cina per limitare la navigazione dei netizen asiatici.

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