La finanza, il debito e la politica

Si prova un certo imbarazzo a riprendere certi argomenti. Tanto più a scriverne. L’impressione è di dover ripetere parola per parola là dove la ricognizione diagnostica mette in collegamento con i “modelli”, l’architettura o la governance. Ogni giorno che passa l’elenco degli scandali finanziari (dai più disinvolti ai predatori ai criminali puri e semplici) si allunga. Coinvolge banche grandi e piccole, nazionali, territoriali e personali, imprese pubbliche e private grandi e meno grandi, partecipi finanzieri e faccendieri senza scrupoli, cricche di malaffare, sodalizi banditeschi. Non siamo ancora al “giudizio universale”, ma il complesso gioco degli interessi e dei coinvolgimenti ha introdotto nel mercato tanta opacità e sporcizia, che qualche intervento contro disastri, distorsioni e caos appare ragionevole, senza atten dere che lo faccia la magistratura.La criminalità finanziaria ha molte facce nel mondo. Anche da noi. Non è solo quella che fa straripare la cronaca di arresti questi giorni. Per definizione tecnica internazionale la nostra è più “bancocentrica”. Gli ultimissimi casi che hanno riempito l’informazione dopo avere svuotato le casse dei comuni, riguardano però banche estere, condannate per avere venduto spazzatura (“derivati”), a ingenui enti locali, mentre i casi “aperti” che fanno attualmente discutere sono: MPS e relativa Fondazione con tutti i corridoi che sappiamo; Banca Popolare di Milano, per prestiti agevolati concessi a società di gioco, immobiliari e offshore; Intesa S. Paolo Torino, in tribunale per spese applicate senza informare i correntisti; Banca popolare di Spoleto, collegata a MPS e commissariata; Antonveneta venduta a Santander e acquistata dopo poco da MPS con la benedizione degli organi di vigilanza. Tra quelli solo di “ieri” non si possono dimenticare i casi emblematici delle scalate gemelle della Pop Lodi ad Antonveneta, della Unipol alla Bnl; della Banca Italease, finanziaria delle banche popolari e crollata per le perdite provocate dall’uso disinvolto dei derivati; della Credieuronord, la banca della Lega Nord, salvata a carico della Popolare di Lodi e poi fallita; del Credito cooperativo fiorentino messo in liquidazione coatta amministrativa e poi fallito. Sono poi ancora aperte (nel Lodigiano, ma non solo) le ferite procurate dai casi clamorosi dei bond Argentina, Cirio e Parmalat (profondamente diversi tra loro) piazzati a piene mani dalle banche per rientrare dalle loro esposizioni. Vicende che insieme alle tantissime altre che hanno coinvolto il sistema bancario, hanno portano a galla l’inafferrabile rete dei conflitti di interesse tra banche e imprese, imprese e società di revisione, banche e piccoli risparmiatori e persino tra autorità di vigilanza, oltre alla commistione tra affari e politica.E’ vero, di scandali finanziari è pieno il mondo. Ne scoppiano ogni giorno dappertutto. Tanto che nessuno può fare la morale a nessuno. Tanto meno in Italia, dove non si sentirà mai un banchiere né un dirigente di banca farla. Giorni fa il governatore della Banca d’Italia chiese poteri per rimuovere i banchieri inaffidabili (a certi livelli si è sempre molto attenti alle parole). Prima lo applaudirono, poi dichiararono ai giornali che il suo era solo un “auspicio”. Cinque anni fa con l’Enciclica Caritas in Veritate Benedetto XVI chiese agli architetti del mondo della finanza e della politica che, “dopo il cattivo utilizzo” della finanza che aveva “danneggiato l’economia reale”, si impegnassero almeno a “rinnovare strutture e modalità in modo etico”. Un appello finito in “auspicio”. Teoricamente - teoricamente ! - la politica e l’economia sono “scienze”. Non esatte, ma terreno di conoscenza, di studio, di dottrina. La finanza è uno “strumento” dell’economia. O meglio, dovrebbe esserlo. Se non si scoprisse ogni giorno che confeziona per mezzo di eterodossi meccanismi fuori da ogni controllo, orrendi ordigni capaci di travolgere le tendenze spontanee del mercato. Accade quando la politica e le istituzioni mancano ai loro compiti di dare regole, di vigilare, di intervenire con azioni di governo. Il disastro di cui stiamo misurando le conseguenze è figlio di questa politica. Del fallimento della politica economica. Ma ha radici anche nella nostra cultura, nei “modelli” del nuovo millennio...Il sistema finanziario, è quanto si insegna ancora, è uno strumento indispensabile per il buon funzionamento dell’intera economia. E’ quasi un assioma. La politica non può fare a meno dell’economia, l’economia della politica, la finanza dell’una e dell’altra. Sennonché tutte e tre hanno obbligato (e obbligano) per convivenza a sopportare, perdonare, tollerare, dimenticare la loro sporcizia e i tanti troppi scandali che riempiono le cronache giornalistiche.Gli esperti di capital money si affannano a spiegare che, se il sistema finanziario è cresciuto e cresce rispetto al sistema produttivo, sono gli organismi internazionali che devono regolamentare l’oceano di derivati messi in giro. E se questa governance latita? La risposta tranquillizzante (si fa per dire) è sempre della finanza, che coi derivati ci vive (e specula), e che non rinuncerebbe mai e poi mai a questi “strumenti” (Interest Rate Swap, Commodity Swap, Credit Default Swap e altri congegni fraudolenti, artefici della crisi sistemica e dei fallimenti a catena di piccole e medie imprese oltre che del dissesto finanziario di parecchi enti locali) -, tanto meno di vederseli messi sotto controllo: il sistema finanziario è cresciuto tanto solo perché è cresciuto smoderatamente tanto il debito pubblico. Se c’è una colpa è della “complessità” dell’economia globale che presenta aspetti complessi, che neppure i “titoli tossici” possono essere regolati dalle autorità di regolazione, e neanche in un futuro. Mettetevi il cuore in pace – sembra dirci -, lasciate lavorare le holding company, le holding bancarie e le collegate finanziarie. Magari loro troveranno qualche “riequilibratura”.Come si dice in lingua “millionaire” la banca che nasconde i titoli tossici che ci verranno proposti la prossima occasione?

© RIPRODUZIONE RISERVATA