La Dia conferma, la ’ndrangheta presente a Lodi

La relazione semestrale cita un caso di droga, un’interdittiva del prefetto e casi di fatture false

La seconda relazione semestrale 2020 presentata ieri dalla Dia al Parlamento conferma che la ’ndrangheta è presente e attiva nel Lodigiano. Sia con illeciti tradizionali, nell’unico caso portato alla luce una piantagione di marijuana a Borgarello, nel Pavese, da un 26enne calabrese arrestato a Caselle Lurani nel febbraio dello scorso anno, sia con l’ingresso in attività economiche, e anche qui il caso di cui per ora si può parlare è uno solo, quello dell’interdittiva antimafia che ha colpito una società di San Colombano che per la Dia è riconducibile a un esponente di spicco della ‘ndrangheta. In realtà le inderdittive piombate sui colli erano due ma una è stata poi annullata dal giudizio amministrativo perché non c’erano di fatto connessioni, se non la sede legale presso lo stesso commercialista di Lodi. Entrambe le società avevano richiesto contributi allo Stato e per questo erano scattate le verifiche. In realtà in un caso erano “ristori Covid”, nell’altro si trattava dei rimborsi per il vecchio “conto energia” su un impianto fotovoltaico.

Il caso del 26enne di Caselle Lurani è riportato come indicativo della presenza nella nostra provincia di persone legate alla cosca Alvaro di Sinopoli (Reggio Calabria). Il fatto che il presunto complice del lodigiano nella coltivazione di 138 piante di cannabis fosse un giovane bergamasco colloca per la Dia un’infiltrazione della medesima cosca anche in quella provincia (indagini Eyphemos e Eyphemos 2). Episodi che possono sembrare di piccola portata nel panorama globale del crimine organizzato ma che sarebbero indicative della presenza di “cellule” ndranghetiste. La Dia ritiene che nel Lodigiano non sia attiva una vera e propria “locale” di ’ndrangheta, mentre ne vengono elencate 25, nelle province di Milano, Monza, Lecco e Brescia.

La stessa Antimafia chiarisce che questa “fotografia” è tutt’altro che esaustiva e che la tendenza ormai consolidata del crimine organizzato italiano è di inserirsi nell’economia legale per consolidare i capitali con il riciclaggio e acquisire un potere più stabile rispetto a quello delle”vecchie” azioni a mano armata, e così alle indagini possono a lungo sfuggire infiltrazioni di più alto livello, dall’economia legale alla politica, e infatti lo strumento investigativo principe di questi anni sono le “segnalazioni di operazioni finanziarie sospette”. Le nuove prede sono le imprese in crisi, meglio se medio-piccole: l’imprenditore vittima non denuncia perché ha paura ma anche perché viene subito reso complice, o comunque ricattabile, magari coinvolgendolo in illeciti fiscali.

Sono state 32 le interdittive antimafia disposte dalle Prefetture lombarde nel secondo semestre del 2020, e il 71% del totale hanno riguardato società portatrici di criticità ricollegabili alla ‘ndrangheta. Che secondo la Dia si caratterizzerebbe nelle province di Pavia e Lodi per la consumazione di reati-scopo quali fatture per operazioni inesistenti e false compensazioni di crediti tributari.

Ma il rapporto della Dia non si dimentica né dei blitz della criminalità pugliese, come gli assalti ai portavalori, né delle organizzazioni straniere, arrivando a citare il blitz del 23 novembre 2020 della polizia ferroviaria con l’incarcerazione su ordine del Gip di Lodi di tre spacciatori, due dei quali marocchini, e di un taxista 54enne lodigiano che li accompagnava a spacciare alla stazione di San Zenone al Lambro. Il metodo del taxi era stato scelto per sfuggire ai divieti di spostamento dei vari lockdown.

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