La civiltà del debito (in crisi)

“Il mercato”, “I mercati”, “Il giudizio dei mercati”, “L’approvazione dei mercati”, “La prudenza dei mercati”, “La vulnerabilità dei mercati”, “Il lunedì nero dei mercati”, in tempi di crisi come gli attuali sono distinzioni d’impiego quotidiano. Rispettano la vita, il parlare, la civiltà (oddio!). del presente. In origine con la parola mercato si designava un luogo per scambiare merci, in epoche successive per commerciarle (venderle). Oggi, con la performatività del capitalismo finanziario è qualcosa di inconoscibile. Almeno nell’uso che ne fanno certi commentatori, che è quasi un’ipoteca o un comandamento: Ama il mercato come l’unico tuo dio. Gli studiosi, ovviamente, vanno oltre. Secondo un sociologo, professore della Open University, il mercato nella sua definizione più articolata rappresenta tutte le attività redditizie con “esclusione degli altri valori sociali o umani che non possono essere ridotti a cifre” (John Clarke), e, per un suo collega studioso di teorie freudiane, il mercato è per estensione “un feticcio” che rimuove il valore della persona e maschera una realtà sottostante (Jeffrey Weeks). Ci sono, come si vede, tanti filtri attraverso i quali guardare la realtà del mercato finanziario. La cultura è una lente che ingrandisce o rimpicciolisce le cose e talvolta ne deforma le proporzioni. In un senso o nell’altro. Le stesse parole rivelano connessioni quando descrivono i mercati finanziari e le loro vicende. Spesso cedono all’equivoco se non all’inganno. Assumono approssimativamente un potere informativo, quindi sinonimo di potere contrattuale politico ed economico. Naturalmente i pregiudizi che si portano dietro sono più che meritati, impiombato com’è il mondo finanziario di relazioni e scandali, abusi e cannibalismi. Dal mostruoso gemellaggio siamese tra politica e affari. Comunque, sempre pregiudizi sono. Almeno fintanto che non arriva qualche sboom o fatto scellerato o criminoso che obbliga a usare altre parole.

In aritmetica è tutto chiaro: 2+2 fa quattro, e chiunque dice diversamente è in errore. In campo finanziario non è così. Le formule applicate ci sono sempre, ma c’è anche molta teorica dietro alle formule inserite nel computer. Nel rapporto che avvicina o contrappone c’è l’autonomia e il cosiddetto sentiment e anche la politica (le scelte della politica). Con tutto questo non si vuole scoraggiare nessuno, solo rendere chiaro che la linea di separazione tra giudizi e pregiudizi, quando in gioco entrano i danée, gli sghéj, gli scec, le palanche è più labile e problematica di quanto possano affermare i manuali della Bocconi.

L’unica strada è allora quella di verificare sempre i propri paradigmi alla luce dei fatti. Mercato, mercati, giudizio dei mercati sono parole che hanno assunto una familiarità quotidiana; spesso insinuano una certa conformità di aspetto estrinseco. Sono parole adottate da tv, quotidiani, network, politici, banchieri, lobbysti, faccendieri, economisti, che ne fanno un uso più che altro energetico visto che gli esiti del mercato non sempre corrispondono all’analisi dei fatti. Diciamolo allora, non se ne può più di essere sottomessi “al giudizio del mercato”; non se ne può più di questa moneta fiduciaria, fissata da qualcuno, esogenamente.

Parlare di mercato finanziario è un azzardo visto il potere assunto dalle concentrazioni, dalle lobby e le scelte della politica (come per i subprime, trasformati in titoli finanziari derivati, venduti o passati ad altri soggetti a trattativa privata). Si dovrebbe piuttosto parlare di mercato dell’inganno: delle bolle (considerati i trilioni bruciati) e delle balle vista la manipolazione che ne fa l’informazione. E’ dagli anni ’80 che sui media passa il messaggio unico della finanza che serve all’economia reale.

Oggi nel mercato finanziario c’è di tutto. E’ un “supermarket” gigantesco di “prodotti” e “derivati” più o meno ben confezionati: titoli obbligazionari complicatissimi, formati da altri titoli, fondi pensione, fondi speculativi eccetera. Se vai in banca per un mutuo per la tua azienda non puoi dir di no all’ “investitore istituzionale” che ti consiglia un “derivato sicuro” da parcheggiare fuori bilancio (anche se bisogna stare attenti!).

L’immagine che ancor oggi molti hanno dei “mercati che giudicano” è quella di di milioni e milioni di signor Bianchi e signor Rossi possessori di risparmi in azioni o quote di fondi comuni che acquistano o vendono titoli per cui gli indici salgono o crollano. E’ una rappresentazione lontana dalla realtà e di nessun conto: gli scambi imputabili ai signor Bianchi e ai Signor Rossi raggiungono in tutto il mondo appena il 5%. l’80% è di “investitori istituzionali”, il 15% di corporation di vari settori. A contare, insomma, sono le concentrazioni finanziarie, le grandi banche, l’industria delle industrie, (l’automobile anche se ha il fiatone, come peraltro le grandi banche), la grande finanza “de-regolata”, le istituzioni finanziarie che con le loro attività “invisibili” alle Sorveglianze consentono ogni sorta di sregolatezza.

Per riparare i guasti si sono trovati in Costa Azzurra infermieri, anestesisti, chirurghi.

Avrebbero dovuto avviare una reazione bipartisan e istituzionale ai ripetuti collassi finanziari e invece è stato un fiasco completo. Tutto si è risolto con una somministrazione di aspirine a mezza Europa (noi compresi), dopo le raccomandazioni di rito. Le arterie restano intasate di debiti. L’America potrà continuare ad accrescere i propri (1,5 trilioni di dollari), la Cina ad acquistare la maggior parte dei titolo emessi per finanziarli; l’Inghilterra liberale a nazionalizzare le sue banche d’affari; la Germania a trarre profitto dalle economie-mondo in conflitto tra loro; i grandi problemi del secolo (risorse energetiche, ambiente, piaghe dell’Africa e dell’Asia interna) ad andare per loro conto; le banche ad essere salvate con i soldi dei contribuenti europei; l’Italia… a campare, come può.

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