La carestia continua a uccidere

I primi mesi del 2012 hanno visto riapparire le piogge un po’ ovunque, nei paesi del Corno d’Africa. Ma si è trattato di precipitazioni irregolari, a macchia di leopardo: la siccità si è attenuata, la crisi non è certo risolta. Tanto più che frane e inondazioni locali rendono ancora più precarie le attività agricole, favoriscono le malattie intestinali indotte dall’acqua inquinata e l’aumento della malaria, il cui parassita trova nelle acque stagnanti l’ambiente per prosperare.Negli ultimi due anni, almeno 12 milioni di persone nel Corno d’Africa hanno dovuto patire le conseguenze di quella che è stata definita la peggior carestia degli ultimi 60 anni. Le siccità, nella regione, non sono inusuali, ma ora accadono circa ogni due anni: segno evidente che i cambiamenti climatici non sono una favola. E una favola non sono i loro corollari sociali e politici: inasprimento delle condizioni di povertà, flussi di rifugiati e migranti, tensioni tra paesi confinanti.“Effetti contrastanti delle piogge”: i bollettini dell’Ocha, l’agenzia per gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, hanno fotografato così, a fine maggio, la situazione nel Corno d’Africa.Piogge in ritardo nel nord e ovest dell’Etiopia, scarsità nelle zone centrali densamente popolate; un po’ meglio, ma fino a causare inondazioni, in alcune regioni del Kenya, ancora scarsità in altre zone e nel centro-sud della Somalia.D’altro canto, piogge torrenziali “alimentano” in tempi brevi nuovi pascoli, quindi un rapido miglioramento delle condizioni di vita dei tanti pastori nomadi della regione, che però si ritrovano in precarietà quando la stagione delle piogge si abbrevia. Insomma: anche se la malnutrizione al momento appare diminuita, il sistema che l’ha provocata è sempre in piedi. La situazione è complessa e va affrontata con prospettive di lungo periodo, anche se i media non ne parlano più, perché la fase acuta dell’emergenza – estate 2011 – è attenuata.Rifugiati e sfollati, comunque, soprattutto in Somalia, non sono stati toccati dall’apparente miglioramento: Daadab, nell’est del Kenya, rimane un enorme agglomerato di rifugiati somali (oltre 460 mila persone); il corridoio di Afgoye, striscia di una trentina di chilometri a sud di Mogadiscio, “ospita” sempre circa 400 mila sfollati. Perfino la piccola Gibuti, arrivata a ospitare circa 20 mila rifugiati nel campo di Ali Addeh, è stata costretta a organizzarne uno nuovo a Holl Holl.In Etiopia e Kenya il problema continua poi a riguardare le popolazioni autoctone, pure colpite dalla siccità. Da quasi un anno si lavora sulla “resilienza” di questa popolazione, concetto che indica e riassume tutte le attività che accrescono la capacità locale di resistere a un clima irregolare e inclemente.Qualche esempio chiarisce le idee: Caritas Etiopia, nella sola diocesi di Adigrat, ha costruito 48 dighe con argini di terra per “catturare” l’acqua piovana; si evitano così le inondazioni, la perdita di fertilità dei suoli, mentre una grande riserva d’acqua rimane disponibile e i pozzi vicini si ricaricano lentamente per infiltrazione. Tecnica nota, facile, poco costosa, realizzabile con il cash for work, aiuti in denaro (alla popolazione locale) in cambio di lavoro. Caritas Kenya ha invece costruito 279 chilometri di terrapieno per terrazzare terreni, livellandoli per permettere le coltivazioni e risparmiare l’acqua.In seguito ha fornito sementi resistenti alla siccità, bovini e capre, e ha organizzato formazione tecnica.Rimane il problema della Somalia. Caritas è riuscita a “scovare” piccole ong, nel corridoio di Afgoye, a Mogadiscio, in alcune zone del sud. Sono gruppi di persone che avevano conosciuto la dedizione disinteressata della Chiesa e ora si rivelano collaboratori fidati. Tramite loro, migliaia di famiglie sono aiutate per le coltivazioni, le medicine, le scuole. Ma la situazione di conflitto nel centrosud è ancora senza apparente soluzione. Se la comunità internazionale, le milizie irregolari locali e chi le sostiene non troveranno un’intesa, milioni di persone rimarranno in pericolo di vita.

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