La Buona Scuola esige buoni insegnanti

Siamo alla paranoia. Certi insegnanti dovrebbero essere fermati prima ancora di mettere piede in una scuola. Lo dicono alcuni episodi di questi ultimi giorni. A Milano una preside viene presa a pugni da un docente supplente; a Pavullo, nel Modenese, una maestra, ripresa dalle telecamere, è accusata di maltrattamenti e violenza psicologica verso i suoi piccoli allievi; a Cagliari un professore, abusando del suo influente ruolo, se la «spassa» con una sua alunna senza «calare la palpebra» su qualche altra. Adesso basta! Questi non sono insegnanti. Questi signori devono andare a cercare lavoro altrove e mai in un’aula scolastica a contatto con colleghi e allievi. Sono episodi gravissimi che la dicono lunga su quale crinale pericoloso corre la professione docente. Perchè se al LiceoCarducci a rimetterci la faccia con una prognosi di quindici giorni è stata la mia collega nell’esercizio delle sue funzioni (ma è rientrata subito in servizio, perchè certi presidi sono di un altro pianeta), altrove a rimetterci la dignità sono bambini o allievi poco più che bambini. Fioccano denunce e querele che però nulla toglie al fango che nel frattempo viene gettato addosso alla categoria docente. Diciamolo chiaramente. Queste persone hanno dei seri problemi e come tali vanno individuate prima che possano abbracciare la carriera docente. In simili casi il rapporto di lavoro si dovrebbe risolvere subito senza aspettare i vari gradi di giudizio. Sono episodi saliti alla cronaca da pochi giorni che rischiano di entrare in un lungo elenco visto con distacco e freddezza per diventare un luogo comune. La cronaca prende il sopravvento, dimenticando che sia pur fortemente esposta sia dal punto di vista sociale che da quello professionale, la categoria docente è nella maggior parte rappresentata da persone che svolge il proprio lavoro con lodevole sacrificio, con spirito di collaborazione per il buon andamento scolastico e per la crescita sociale, civile ed educativa degli allievi. Non dobbiamo farci ingannare da questi cattivi e spregevoli esempi che fanno rumore non fosse altro che per il clamore mediatico reso tale da giornali e telegiornali. Chi lavora con rispetto e dedizione, purtroppo non fa rumore e di costoro la cronaca non se ne è mai occupata e mai, probabilmente, se ne occuperà. Insomma questi ultimi docenti non fanno storia. Al contrario entrano nell’analisi sociale quei casi eclatanti che per di più pongono precise domande. Ma che sta succedendo a certi insegnanti? Può il lavoro dell’insegnante essere considerato usurante a tal punto da condurre alcuni a mettere in atto gesti volgari, violenti se non degradanti? Se così è allora c’è da preoccuparsi seriamente. Non di meno vanno considerati preoccupanti tutti quei particolari segnali che un docente lancia prima di arrivare a distruggere se stesso, gli altri e la sua moralità. Sono segnali stressogeni, disturbi relazionali che condizionano pesantemente la vita di un insegnante e che rendono pesante la quotidianità sottoposta com’è a sollecitazioni sociali e professionali. Irritabilità, perdita di considerazione sociale, stati d’ansia, agitazione, affaticamento psico-fisico nonchè emotivo conducono alcuni docenti su un crinale pericoloso che passa da una mancanza di self-control per finire di cadere su reazioni incontrollate. Depressione e stanchezza sono destinate a diventare cause croniche e patologiche con un accresciuto senso di sofferenza. Per un insegnate sono brutti segnali che trovano concretezza nell’affrontare in classe studenti difficili, nel relazionarsi con genitori «impossibili», nel gestire irritati i rapporti con presidi e colleghi, nel vivere in modo stressante le nuove sfide tecnologiche di fronte alle quali molti si ritrovano disarmati. Sono situazioni di difficoltà che il più delle volte trovano linfa vitale anche in una contestuale situazione famigliare carica di problematiche afferenti la stessa vita coniugale e genitoriale. Negli ultimi anni si sono più che triplicate le domande di professori pronti a lasciare l’insegnamento per inabilità al lavoro. Un’escalation che la dice lunga a quale livello è arrivato il preoccupante fenomeno. La letteratura è piena di libri accompagnati da studi e da ricerche scientifiche a sostegno di queste tesi. Trovo molto interessante, a tal proposito, il libro di Emanuela Nardo, insegnante e docente universitaria, dal titolo emblematico e provocatorio: «Prof, non capisci niente! Manuale di sopravvivenza per insegnanti sotto stress». Può dunque tutto questo portare comprensione su certi cattivi e volgari esempi? No! Assolutamente. Anzi è proprio questa analisi che dovrebbe probabilmente convincere ancora di più gli scettici a considerare il lavoro dell’insegnante una professione da abbracciare non come un ripiego occupazionale nè con una innocente leggerezza, ma come una nobile convinzione che senza un alto senso di missione difficilmente si potrà trovare la forza di resistere alle innumerevoli stati di conflittualità e di demotivazione. Certo una tale analisi mal si concilia con la riforma Fornero che nella scuola tende a ritardare di alcuni anni il collocamento a riposo. A riprova di ciò possiamo dire che l’Italia è il paese con il più alto numero di insegnanti ultra «anta». Insomma la nostra scuola necessita di forze fresche, preparate, attentamente selezionate e pronte a sostenere con determinazione e consapevolezza le difficoltà che una simile professione riserva. Bisogna, dunque, meglio selezionare la futura classe docente, restituirla alla società nella sua primaria e riconosciuta funzione formativa, retribuirla adeguatamente. Nel contempo offrire spunti motivanti per vivere le ore in classe con i ragazzi non in modo frustrante, compassionevole, giusto per tirare stancamente avanti fino al suono della campanella, ma con la consapevolezza di sentire la propria professione come il più bello ed entusiasmante lavoro al mondo. Ma attenti però. In classe, a contatto con i ragazzi, non si deve parlare di sopravvivenza, ma di grandi opportunità, non di sfortuna, ma di occasione per la possibilità di creare legami e relazioni, per la possibilità di veicolare esempi, emozioni, messaggi di grande rilevanza esistenziale. «Il compito principale di un uomo è dare origine a se stesso, trasformandosi in tutto ciò che è in grado di essere» ci dice Erich Fromm psicoanalista e sociologo. Ma allora possiamo forse tollerare nelle nostre scuole la presenza di insegnanti demotivati, violenti e dissoluti? Non è meglio che facciano altro?

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