Italiani oggi, c’è qualcosa che non va

Aggressivi e scontenti. Semplificando, è questa l’immagine degli italiani che emerge da una indagine appena realizzata dal Censis incentrata in particolare sulla “sregolatezza” colta nella società contemporanea, sottolineata da un progressivo attenuarsi del “controllo delle pulsioni”, dall’aumento dell’aggressività, insieme ad un aumento dei casi di depressione. Un comunicato del Centro studi rileva, sottolineando l’aumento dell’aggressività, come negli ultimi 5 anni minacce e ingiurie sono cresciute del 35,3%, mentre lesioni e percosse del 26,5% . E annota che il consumo di antidepressivi è raddoppiato in dieci anni (+114,2%). Il Censis parla di crisi dell’autorità, declino del desiderio. Disegna una società in cui sono sempre più deboli i riferimenti valoriali e gli ideali comuni, in cui è più fragile la consistenza dei legami e delle relazioni sociali. La perdita di controllo delle pulsioni è spiegata tra l’altro come risultato della perdita di molti dei riferimenti normativi che fanno da guida ai comportamenti. “È il depotenziamento della legge – annota il Censis – , del padre, del dettato religioso, della coscienza, della stessa autoregolamentazione”.

Lo stesso Centro di ricerca parla di crisi antropologica e, a ben vedere, incontriamo qui un termine e uno scenario che non è nuovo. L’analisi del Censis conferma la direzione presa dalla nostra società verso un individualismo sempre più marcato, la considerazione, cioè, del soggetto regola a se stesso. Perché regolare le pulsioni? Piuttosto legittimiamole: anche quelle che, in passato, erano addirittura “inconfessabili”. Del resto – conferma il Censis – per l’85,5% degli italiani ognuno è l’arbitro unico dei propri comportamenti. Lo stesso concetto di trasgressione perde di importanza. In campo religioso, annota sempre il Censis, “si può essere buoni cattolici anche senza tener conto della morale della Chiesa in materia di sessualità per il 63,5% (dato che sfiora l’80% tra i più giovani)”. La sessualità fa sempre presa, ma probabilmente varrebbe lo stesso ragionamento applicato alla morale sociale: si può essere buoni cattolici anche senza pagare le tasse, senza accogliere gli immigrati… quanti avvertono le contraddizioni? Difficile, se la cifra contemporanea diventa appunto quella del riferimento a se stessi.

Davvero è una crisi antropologica e uno dei dati più interessanti nel Censis è che le trasformazioni in atto, alla fine, non sono produttive. E l’uomo di oggi, più aggressivo e autoreferenziale, sembra anche più scontento, depresso. Come sembra sottolineare l’ampio ricorso ai farmaci. Facciamo da soli, ma qualcosa non va. Quel pallino che vorremmo sempre più avere tra le mani, sfugge e lascia insoddisfatti. C’è una faccia scura della medaglia che vorrebbe celebrare l’autosufficienza dell’individuo.

Invidualismo, relativismo… non è da oggi che se ne parla. La comunità cristiana, in particolare, avverte fortemente la preoccupazione di una crisi antropologica che risulta distruttiva e impedisce alle persone di cogliere la propria dimensione relazionale, comunitaria, di destino condiviso. Parla di emergenza educativa, perché è solo nello sforzo paziente, e lento, di una educazione rinnovata, partecipata e consapevole, che si può riportare l’attenzione alla sostanza della persona umana e, di conseguenza, alle sue possibilità di pienezza e gioia. Parla di emergenza e si dà da fare concretamente, nei territori e con mille iniziative, animando dal basso la società e illuminando le relazioni, le reti, i destini condivisi. Questa è la strada per ritrovare futuro.

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