Io, nel dubbio, accolgo la riforma

Pare che il primo requisito che ogni soggetto intellettualmente onesto dovrebbe possedere è il dubbio. Se così è, allora anch’io, sul recente sciopero contro la riforma della scuola ho dei dubbi. Siamo sicuri che l’annunciata riforma della «Buona Scuola» sia un male per la stessa scuola così come hanno fatto intendere i sindacati che hanno proclamato lo scioperato (si parla di un’adesione massiccia pari all’80% del personale scolastico) lo scorso 5 maggio? Certo il dato registrato sulle adesioni allo sciopero è impressionante. Un’adesione così ampia pone seri interrogativi su cui nessuno può vantare il diritto di sorvolare senza rischiare di sbagliare. Ma allora dov’è il dubbio. A mio parere non si è capito fino in fondo la proposta della riforma che la «Buona Scuola» vuole attuare. Fanno riflettere le battute che il premier Matteo Renzi non risparmia di ripetere ad ogni occasione. Punta il dito contro quei sindacalisti che si ostinano a mettere in dubbio la politica delle assunzioni messa in atto dal suo governo sinteticamente riassumibile nello slogan: «Incomprensibile scioperare contro centomila assunzioni». E in effetti come si fa a scioperare quando il piano riformatore prevede un così alto numero di assunzioni? E anche in questo caso mi viene un dubbio. Forse che i sindacati hanno deciso di cavalcare la protesta dei docenti per recuperare terreno che da un po’ di tempo a questa parte sta diventando sempre più friabile sotto i piedi? Boh? Una medesima situazione pare emergere a proposito della valutazione dei docenti poco inclini a farsi condizionare lo sviluppo di carriera dai presidi. In questo caso il dubbio è quello di cadere nelle grinfie del solito preside vendicativo, del solito preside amante di adulatori piuttosto che di competenti collaboratori, attento a farsi osannare più di quanto sia interessato a farsi costruttivamente criticare. Dubbio legittimo, ma che non giustifica la logica del lasciar stare le cose come stanno. Sono d’accordo, in linea di principio, con chi nutre qualche riserva sui poteri che verranno riconosciuti ai presidi. Di presidi matti ce ne sono in giro sparsi per la penisola a rovinare le nostre scuole, alla pari di docenti svitati che infestano le nostre aule tanto da essere dannosi per gli studenti e per la struttura in cui insegnano. Il problema è sempre lo stesso. Poche eccezioni finiscono per condizionare i giudizi, trasformando dubbi in certezze, aggiungendo così errore ad errore. Eppure non va dimenticato che l’eccezione conferma la regola e la regola vuole che la scuola si avvale dell’opera della gran parte di presidi motivati, per niente autoreferenziali, lungimiranti e attenti ai grandi cambiamenti in atto. Stessa cosa vale per la maggioranza dei docenti disponibili a dedicare gran parte della giornata extrascolastica all’esercizio della propria funzione, sacrificando talvolta anche la famiglia, pur di non far mancare il proprio contributo e la propria preziosa collaborazione in barba ad ogni dissacrante contumelia che preferisce riconoscerli come relativamente impegnati. Dunque né scelti, né essere valutati per la propria carriera, né consentire ad alcuno di valutare il proprio operato. Ma siamo sicuri che è questa la «Buona Scuola» che vogliono i docenti? Anche qui nutro dei seri dubbi. Per molti insegnanti consentire a un ente esterno come l’Invalsi di saggiare il livello di apprendimento degli alunni mediate test di valutazione, significa valutare ed esprimere giudizi sul proprio operato e questo è un affronto, un’insopportabile intrusione nella sfera professionale di ciascuno. Si moltiplicano gli inviti rivolti ai docenti di boicottare le prove di valutazione, ma si hanno anche notizie di docenti preoccupati di invitare gli studenti a consegnare le schede in bianco, a copiare tranquillamente l’un l’altro pur di falsare i dati finali o peggio ancora, a non presentarsi a scuola il giorno stabilito per le prove. E questa sarebbe la «Buona Scuola»? Ma siamo seri! Sono dell’avviso, invece, che bisogna dare più spazio ai processi valutativi più di quanto ne abbia oggi l’Invalsi per saggiare la preparazione dei nostri studenti. Che si metta pure l’animo in pace chi preferisce rimanere immobile nel tempo. Rimanere autoreferenziali è fuori da ogni logica razionale. Significa rimanere anacronistici, significa non mettere i nostri ragazzi nelle condizioni di poter affrontare con preparazione le nuove sfide che si affacciano all’orizzonte. Sta qui la forza del dubbio! Ciò che più mi spaventa è la indiscussa convinzione di tanti docenti che considerano la riforma della scuola, prossima al traguardo, una cattiva riforma. Cattiva perchè vuole una scuola libera dove possa rafforzarsi un sistema integrato stato-privato. Significativo, a tal proposito, quanto dichiarato di recente da Luigi Berlinguer durante un convegno a Lecco, secondo cui «bisogna impegnarsi contro la pretesa dello Stato di gestire il processo educativo nella società attuale e, peggio, futura». Cattiva perchè parla di retribuzione in base al merito, perchè parla di assunzioni finalizzate a chiudere le interminabili graduatorie, perchè parla di giustizia retributiva, perchè parla di presidi chiamati a più forti responsabilità, perchè parla di valorizzazione della professione. Su tutta questa cattiveria ho dei seri dubbi. Perchè gli insegnanti non sono tutti uguali. Tra loro ci sono, come in qualsiasi ambiente di lavoro, di bravi e meritevoli contrapposti a insegnanti poco motivati e incompetenti. Anche tra gli insegnanti ci sono pecore nere, ci sono quelli che se la filano liscia, ma che pretendono il riconoscimento di un incremento stipendiale. A farcelo capire sono gli stessi genitori allorquando, ricorrendo a determinati sotterfugi, non vogliono che il proprio figlio possa capitare tra le mani del solito insegnante incompetente, ribelle, per niente disposto al dialogo, all’ascolto, privo di preziosi consigli. Questo è il tipico insegnante che non ha mai dubbi. A costui suggerisco di leggere il «Cogito, ergo sum» di Cartesio dove tra l’altro si legge. «Alla fine degli studi mi trovai sperduto tra infiniti dubbi ed errori. Mi sembrava di aver studiato solo per scoprire quanto fossi ignorante». Socrate e Celentano si sono dichiarati ignoranti. Il primo perchè diceva di «sapere di non sapere», il secondo perchè si è definito «Il re degli ignoranti». Eppure.

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