Intanto l’Ilva continuerà a inquinare

La vicenda dell’Ilva, che da qualche tempo, sui teleschermi e sulle prime pagine, ruba la scena alle quotazioni in borsa e ai rendimenti di bond e bonos, mi fa tornare in mente un pregevole articolo comparso tre o quattro settimane fa su di un giornale a tiratura nazionale, dove, metaforicamente, veniva posto in evidenza il grave errore di un tizio che, avendo smarrito il portafoglio, continuava a cercarlo mentre la propria casa e l’intero quartiere si stavano consumando in un devastante incendio. Era chiaro il riferimento, nel seguito esplicitamente evidenziato, a ciò che si sta consumando ai quattro angoli del mondo, ormai da diversi anni. Mentre si continua a frugare tra le macerie di un modello economico inattuale e ingiusto alla ricerca di rimedi, non di rado palesemente posticci, si trascurano, o meglio si accantonano, i grandi temi delle offese alla natura, che rischiano di compromettere irrimediabilmente il destino di chi, nel futuro, dovrebbe continuare ad abitare questo pianeta.In conseguenza del sequestro e, perciò della chiusura, di una porzione nevralgica degli impianti produttivi, motivato da gravi reati ambientali, le maestranze dello stabilimento tarantino sono scese in piazza, reclamando, legittimamente, il loro diritto al lavoro. Tra arresti domiciliari, risibili dichiarazioni della dirigenza, affannosi interventi del Governo, è venuto a galla il nodo intricatissimo, del disastro di Taranto, per troppo, lungo tempo compresso nel dimenticatoio, sotto il peso della crisi e di tutti i termini ad essa associati (spread, downgrade, rating...).C’è stato un tempo in cui, venivano portati davanti al giudice piccoli imprenditori che, per ignoranza, faciloneria, gretto interesse o miope assenza di scrupoli, violavano le normative vigenti, scaricando veleni nell’aria, sul terreno, dentro i corsi d’acqua o in mare. Le loro colpe erano facilmente dimostrabili. Falde acquifere contaminate, pericolose scorie abbandonate a cielo aperto, dilavate dalle piogge e disperse dal vento, nuvole rossastre, pregne di biossido di azoto e diossine, immesse in atmosfera, inchiodavano i responsabili, malgrado i cavilli legali di sfrontati difensori, quasi mai in buona fede.Le grandi imprese siderurgiche, chimiche e meccaniche venivano tenute fuori da quei contesti, plausibilmente supponendo che le schiere di ingegneri e chimici dentro gli uffici tecnici, sapessero bene cosa fare per segregare i rifiuti tossici, per contenere i rilasci di metalli pesanti entro i limiti di accettabilità, per salvaguardare la salute degli addetti, per coniugare armonicamente i processi industriali con la circostante natura. È peraltro ipotizzabile che alcuni di quei valenti specialisti presentassero alle rispettive direzioni specifici progetti ben strutturati, utilizzando gli strumenti che la ricerca scientifica rendeva disponibili, e che vi mettessero tutto l’entusiasmo, la professionalità, lo zelo di chi vuol svolgere il proprio compito con intelligenza, onestà e serietà. A fronte degli alti costi stimati per tradurli in realizzazioni concrete e funzionali, quei corposi progetti, giudicati improduttivi, finivano per trovar posto, ignorati e dimenticati, in qualche polveroso scaffale dell’archivio aziendale, oppure venivano furbescamente trasformati in un insieme di tubi, reattori, torri, scambiatori, filtropresse, centrifughe, sedimentatori, corredati di sonde elettroniche e display digitali multicolorati, illusoriamente funzionanti durante il giorno e fermati di notte, sotto gli occhi di controllori distratti e ipovedenti, a cagione delle panciute buste poste di traverso ad occludere l’intero angolo visivo.Si scopriva così che anche i grandi insediamenti, approfittando di connivenze e coperture, violentavano l’ambiente senza ritegno e rimorsi.Le conclusioni del Gip, che hanno fatto scattare il provvedimento di sequestro all’Ilva, supportate da voluminosi rapporti degli esperti, stracolmi di rilevazioni d’ogni tipo, vanno proprio in tale direzione.Ora tutti sono pronti ad innescare il consueto meccanismo. Sotto la minaccia dell’irreversibile fermo produttivo, dell’azzeramento della filiera settoriale italiana, della cassa integrazione per migliaia di operai, il Ministro ha invocato la procedura del riesame, quando avrebbe dovuto dichiararsi “parte lesa”; lo sciopero è stato sospeso; i sindacati hanno già recitato le consuete frasi di soddisfazione; l’impianto a caldo continuerà a funzionare; il magistrato andrà a dormire con la coscienza a posto e tutto sarà riassorbito nelle pieghe infinite dei ricorsi, delle controperizie, delle revisioni, degli interventi di bonifica, finanziati dallo Stato, ed, alfine, delle prescrizioni. Il Mare, il Cielo, la feconda Terra della Magna Grecia saranno gli unici, come sempre, a non avere voce in capitolo, come già a Marghera, Priolo, Gela e in tanti altri luoghi “ameni” del Paese.Nel frattempo il portafoglio perduto sarà stato ritrovato, coperto di fuliggine e desolatamente... vuoto.

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