Parte un nuovo anno scolastico e come da copione che si rispetti, ricorrendo a un linguaggio meteo, è in arrivo un cuneo d’aria calda che porterà un clima torrido in tutte le piazze. Il malessere è assicurato. Un malessere, infatti, colpisce attualmente docenti, genitori, studenti e personale tutto. Un malessere che talvolta può manifestarsi nelle forme più drammatiche. Ha generato sconcerto, tanto per citare un esempio, il recente tentativo di una precaria amministrativa campana di darsi fuoco davanti al Parlamento. E’ il gesto della disperazione che si fa dramma. Un gesto che umilia non chi di quel gesto è vittima, ma chi quel gesto lo ha causato. Rimanere per mesi senza stipendio e con la sola certezza di dover fare i conti con la paura di non farcela più o con il terrore di convivere in una situazione tensionedi abbandono sociale, porta la mente in uno stato confusionale al punto da trovare normale lasciarsi andare ad azioni che nulla hanno di normale. Anche il popolo della scuola viene pesantemente colpito dal clima burrascoso che si respira nell’aria. Scontenti i sindacati, scontenti gli Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari), scontenti i docenti, scontenti i presidi, scontenti gli studenti, per non parlare dei genitori arrabbiati per un ingiustificato caro libri. Sotto la spenta brace arde un’infuocata cenere. Come al solito l’anno che verrà è già pieno di sorprese che poi tanto sorprendenti non sono. C’è poco da sperare. A rimetterci sono i rapporti che si fanno sempre più tesi. Volano parole grosse, infatti, tra sindacati e ministero. Gli uni preparano un inizio da cardiopalma con un avvio «torrido» sin dai primi giorni di scuola, almeno queste sono le annunciate intenzioni, complici le perdute illusioni che tante aspettative hanno generato per tutta l’estate in chi ha sempre sperato nelle iniziative legislative annunciate, alcune delle quali misteriosamente accantonate. Piuttosto seccati al Ministero dove per bocca della Ministra Carrozza non c’è occasione che sfugge per sottolineare l’esasperante clima di contenzioso che male fa alla scuola. «Troppi ricorsi. C’è qualcosa che non funziona nei rapporti tra Stato e cittadini», ricorda preoccupata la Ministra. E ha ragione. Eppure, bisogna avere il coraggio di ammettere che spesso sono proprio i ricorsi a consentire la soluzione di certi problemi che rimarrebbero altrimenti irrisolti con grave danno di chi di certe ingiustizie amministrative è vittima. Molto arrabbiato il popolo Ata tenuto ancora sulle spine da annunci forieri di definitiva sistemazione per tanti aspiranti in spasmodica attesa, desiderosi di vedere la fine di un’incertezza lavorativa dura a morire. Quella degli Ata è una categoria che va notevolmente valorizzata per vederla maggiormente coinvolta in un contesto lavorativo molto delicato tanto da richiedere un’alta professionalità anche relazionale. Per questo obiettivo, personalmente, credo che sia meglio puntare su un adeguato lavoro di formazione e selezione. L’assunzione non va più pensata per soli titoli, come avviene oggi, ma per concorso con tanto di prove scritte e orali altamente selettive. Un discorso a parte meritano i docenti che da anni e anni vanno a ingrossare le graduatorie, rendendo il precariato un sistema che talvolta accompagna qualcuno fino alla pensione. E’ il caso della prof.ssa Lia Baffetti di 62 anni prossima alla pensione, immessa in ruolo quest’anno dopo 33 anni di servizio da precaria. Roba da guinness dei primati! Di recente il Consiglio dei Ministri ha approvato l’immissione in ruolo di più di 11 mila docenti. Sembrano tanti, mentre in realtà sono pochi. Molto elevato è ancora il numero dei precari della scuola in attesa di definitiva sistemazione. Il risultato è che paradossalmente proprio l’entrata in ruolo dei pochi, scontenta i molti rimasti al palo, mentre affidano il proprio futuro e la tranquillità famigliare a una supplenza che forse tarderà a venire. Anche per i presidi si parla di nuove immissioni in ruolo in tutte le regioni italiane fatta eccezione per alcune regioni tra cui la Lombardia dove è in atto un contenzioso tra aspiranti presidi e presidi spirati colpiti dalla mancata riservatezza delle buste trasparenti. Su questo versante la disponibilità dei posti viene affrontata con il sistema delle reggenze che francamente non può reggere a lungo. A un preside viene chiesto di dividersi tra la sede di titolarità e la sede da reggere con concreti effetti giuridici e scarsi riconoscimenti economici. E dato che non hanno ancora scoperto il gene dell’ubiquità, finisce che entrambe le scuole rischiano di avere un capo d’istituto a mezzo servizio. La sua presenza in una data scuola è certezza della sua assenza nell’altra che notoriamente viene affidata al docente vicario. Fioccano le proteste tra cui quelle della Disal che ha promosso l’obiezione di coscienza, invitando i presidi a rifiutare le reggenze. Eppure si sa che per disposizione legislativa in mancanza di disponibilità dichiarata l’incarico può essere assegnato, se necessario, «per volontà unilaterale dell’Amministrazione». Una sorta di ordine di servizio a cui viene chiesto di rispondere con professionalità. Del resto accettare una reggenza non è un danno e la scarsa remunerazione non è un turpe guadagno. Il fronte studentesco, invece, affila gli artigli. Sul piatto della bilancia ci sono diversi problemi irrisolti per garantire quella scuola di qualità tanto agognata. L’aumento dei costi dei libri di testo, i problemi legati alla sicurezza degli ambienti scolastici, la carenza di fondi che si assottigliano sempre più, il dibattito sempre aperto sul finanziamento delle scuole paritarie, sono alcuni dei problemi che agitano il popolo studentesco soprattutto quello più politicizzato pronto ad agitare le acque. Alla base c’è una scelta politica che vede la scuola ancora una volta fare la parte della cenerentola di turno. Se è vero considerare strategico il rapporto tra la scuola e il futuro del nostro Paese, è altrettanto vero che nei fatti, purtroppo, non sempre è così. La scuola è spesso soggetta a tagli sia in fatto di risorse economiche che di risorse professionali. Alla scuola manca ancora una strategia politica vincente che si intrecci con una innovativa strategia didattico-formativa e che punti, come dice Einstein, «su un giovane che esca con una personalità armoniosa e non indotto a uno specialista».
© RIPRODUZIONE RISERVATA