La crescita è diventata il tormentone di questa bizzarra primavera e si arriva a invocarla come la pioggia nella calura estiva. Ma il Paese non cresce, le fabbriche chiudono una dopo l’altra e la ripresa – lasciano intendere gli esperti – non è dietro l’angolo. Il lavoro, che prima era facile e scontato, diventa un bene raro o impossibile. Il governo Monti ne è consapevole e cerca di forzare i tempi preparando diligentemente il suo antidoto. Ci saremmo aspettati un progetto credibile per dare le ali a settori portanti come scuola, università, ricerca, innovazione e famiglia, che oggi languono in fondo alle classifiche mondiali. Avremmo anche visto di buon occhio una speciale attenzione alla difesa del suolo, per mettere in sicurezza il territorio da frane e alluvioni che hanno provocato nei mesi scorsi terribili disastri con perdita di vite umane e danni incalcolabili al sistema civile e produttivo. Invece, il Governo scommette sulle infrastrutture, gettando nel piatto una montagna di soldi (oltre cento miliardi). L’obiettivo dichiarato è mettere in moto il sistema Italia dando lavoro a 400mila persone entro il 2015. Se andiamo a scorrere l’elenco, scopriamo tutto il variopinto armamentario di ciò che in Italia s’intende per Grandi Opere: strade statali, autostrade, tangenziali, gronde, bretelle, poli di intermediazione, ferrovie veloci, tunnel, connessioni ferroviarie e altro ancora.Che le infrastrutture siano un buon affare per lo Stato e uno strumento per aumentare l’occupazione, è una cosa tutta da dimostrare. Insomma, sperare di rilanciare l’economia con le Grandi Opere è come pensare di tenere occupata la gente scavando gallerie o tracciando strade. È uno spreco scandaloso che non aiuta l’economia e peggiora il paesaggio, gli ecosistemi e la biodiversità. Se mai questo Piano vedrà la luce, c’è solo da augurarsi che non abbia maggior fortuna della Legge Obiettivo, varata dal governo Berlusconi, che è rimasta congelata da ritardi e burocrazia. Ben venga l’inefficienza a salvarci dallo scempio ambientale, quando le opposizioni non hanno la necessaria forza di contrasto e dissuasione. Di infrastrutture nel nostro Paese ce ne sono quanto basta. Certo, i francesi hanno più autostrade di noi, ma bisogna tenere presente che la Francia ha una superficie territoriale nettamente più grande di quella italiana. Invece di inseguire il mito della velocità, sarebbe forse il caso di riscoprire la lentezza, valorizzando la rete stradale statale e provinciale e le ferrovie minori, che ci guidano a conoscere le impareggiabili bellezze ambientali e paesaggistiche del Paese.C’è un ultimo punto da considerare e non certo il meno importante. Molti studiosi interpretano l’attuale crisi globale come il sintomo del crollo di un sistema industriale e capitalistico che favorisce gli aspetti materiali ed economici, mentre ritengono che solo l’economia verde e l’agricoltura possano portare a un modello alternativo rispettoso della bellezza della natura e della dignità dell’uomo. Il suddetto Piano, però, mette subito fuori gioco il settore primario, perché a nessuno può sfuggire che sono le stalle, i silos e i campi coltivati che si trasformano in asfalto e cemento a tutto beneficio dell’industria delle vacanze. L’ambiente è ormai al collasso. Se a Brebemi, Pedemontana, Tangenziale est milanese e quarta corsia sull’Autosole si sommano le nuove opere inserite nel Piano governativo, quelle afferenti ai fantomatici corridoi partoriti dall’Unione Europea e le tantissime iniziative che con prodigalità Province e Comuni promuovono a livello della viabilità locale, c’è il timore che dell’Italia agricola e contadina non resti traccia. A quanti giudicano esagerate queste valutazioni, faccio notare che da qualche tempo, in vista della cantierizzazione di importanti progetti, i quotidiani nazionali e locali straboccano di comunicati ufficiali, obbligatori a norma di legge, inerenti alle dichiarazioni di pubblica utilità ai fini dell’espletamento delle procedure di esproprio o asservimento dei terreni agricoli che ricadono nelle aree interessate alla costruzione. Sono intere pagine scritte in caratteri così piccoli da richiedere l’uso della lente di ingrandimento, minuziose elencazioni delle ditte intestatarie che perdono i diritti di proprietà, migliaia o decine di migliaia di particelle catastali destinate a sparire nel nulla. E questo è un segno preoccupante che la mania delle infrastrutture porta allo smantellamento legalizzato dell’agricoltura. È ora di investire in valori etici, sostiene più saggiamente Joaquin Navarro-Valls, ex-direttore della sala stampa del Vaticano (la Repubblica, 19 maggio 2012), perché sono “gli unici in grado di dare solidità alla società”, in quanto non soggetti a mutare con le mode e i costumi. Il segreto della crescita è investire in valori culturali e spirituali e non c’è alcun dubbio che tali valori sono il fondamento della civiltà agricola e rurale.
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