Incendi, quale ruolo per l’educazione

Siamo alle solite! Quando arriva l’estate, puntuali divampano gli incendi e l’Italia brucia tra scenari spettrali: macchie e foreste secolari ridotte in cenere, raccolti distrutti, un’ecatombe di animali e piccole creature indifese, fiamme che serpeggiano pericolosamente tra case e ferrovie, campeggi evacuati e turisti in fuga in un frenetico andirivieni di elicotteri e canadair. Quanta pena nel vedere la “bella Italia” che brucia senza che nessuno possa muovere un dito per salvarla! Mi assale un senso di vergogna al solo pensiero che questa apocalisse è frutto di malizia, ignoranza o sbadataggine. I telegiornali ne danno notizia con toni concitati tra uno stupro nei pubblici giardini e una rapina in villa finita nel sangue, facendo trasparire un misto di impotenza e rassegnazione. E’ oltremodo difficile lo studio delle cause e altrettanto problematica è la prevenzione per la semplice ragione che nella stragrande maggioranza dei casi (92%) gli autori non vengono individuati. Il nostro, purtroppo, è uno strano Paese dove gli ergastolani passeggiano nella pubblica via, i pirati della strada se la cavano con pene irrisorie, gli incendiari restano avvolti nel mistero e le carceri scoppiano di povera gente inquisita per fatti di droga o immigrazione. E poi, siamo sicuri che sia tutta colpa dei piromani? Il fatto che questi incendi avvengono nell’estate e non nell’inverno, che sarebbe la stagione ideale secondo gli esperti, non dovrebbe far pensare che essi sono in qualche misura collegati alla pressione turistica? Vale a dire alla negligenza e alla disattenzione dei vacanzieri (mozziconi di sigaretta, barbecue, falò, ecc.)? Non si può neppure escludere che alla base delle motivazioni si nascondano le mire perverse della speculazione edilizia. E’ vero che la legge quadro in materia di incendi boschivi (353/2000) vieta di costruire edifici per un periodo di almeno 10 anni su pascoli e foreste i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco, ma si sa che non tutti i Comuni hanno elaborato il catasto delle aree bruciate, che è l’unico strumento che riconosce ufficialmente le superfici per le quali è applicabile la legge.Rilevanti sono i danni ambientali, ma quelli economici non sono da meno, se si tiene presente che un’ora di volo di un canadair costa allo Stato qualcosa come diecimila euro e che, secondo le stime del Corpo Forestale dello Stato, le operazioni di spegnimento hanno interessato dall’inizio dell’anno e fino al 12 agosto una superficie totale di 37.000 ettari, per una spesa totale di 185 milioni.Che cosa bisogna fare oltre a quello che già si fa con spirito di abnegazione e tanti sacrifici? Si potrebbero aumentare le squadre e i mezzi a terra, soprattutto quelle che hanno attinenza con il lavoro di intelligence e controllo del territorio, che sono notoriamente il punto debole dell’attuale organizzazione. Mancano, però, in questo momento di crisi, soldi e risorse per aumentare gli organici e gli stipendi dei vigili del fuoco, costretti a ritmi infernali. L’unico rimedio, che non costa niente, consiste nel favorire l’attività agricola e mantenere in vita le aziende. Non tutti si rendono conto che l’abbandono dei campi spalanca la porta ai roghi, perché porta alla riforestazione naturale, all’infittimento della vegetazione e all’accumulo di materiali che propagano e innescano il fuoco (ramaglia, sterpi, erbacce, ecc.). In proposito, voglio ricordare che la pianura padana irrigua è una perla nel panorama italiano, perché gli incendi boschivi non sono di casa come altrove. Certo, si segnalano anche qui casi sporadici, ma essi non hanno la gravità che contraddistingue altri territori italiani. Questa diversità è certamente propiziata dalla ricchezza di acque, dalla pianificazione del territorio agricolo e dall’assoluta mancanza di campi non coltivati o inselvatichiti, come pure dalla disciplina e dal senso sociale delle genti padane. L’educazione ha un ruolo fondamentale nella cura del territorio e nella prevenzione degli incendi.

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