Lunedì 20 maggio 2013 si è tenuto un interessante seminario promosso dall’Ufficio di Piano e dall’Ufficio Scolastico Territoriale sui Bisogni Educativi Speciali di cui riteniamo opportuno dare conto a tutti coloro che possono essere interessati, oltre agli addetti ai lavori. Innanzitutto chiariamo di cosa si tratta quando parliamo di Bes-Bisogni Educativi Speciali. Il riferimento è ad una direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 e alla successiva circolare ministeriale, la 3 del 2013, che in pratica assimila ogni alunno portatore di difficoltà di ogni genere, agli alunni con disabilità certificata, rendendo obbligatorio per ogni tipologia la predisposizione da parte della scuola di un Piano Didattico Personalizzato (PDP). Il problema che nasce è che scuole ed insegnanti, già in difficoltà ad utilizzare il PEI (Piano Educativo Individualizzato) per gli alunni con difficoltà conclamata si troverebbero ingolfati nella predisposizione di questi strumenti vanificandone ulteriormente l’utilizzo. Inoltre, visto che la predisposizione del PDP richiede poi l’individuazione di strumenti in grado di applicarlo, specificamente insegnanti di sostegno o assistenti ad personam, la mancanza di risorse sia statali che comunali, ne renderebbe impossibile l’utilizzo. Il dott. Cornalba dell’UST ha sottolineato la necessità che ciò porti ad una modificazione della didattica, verso una didattica inclusiva per tutti, sia normo dotati che con difficoltà. La dott.ssa Barberis dell’Ufficio di Piano ha tracciato un quadro delle difficoltà, conosciute, in cui si muovono gli Enti Locali:• Incremento costante del numero degli alunni con disabilità da 262 nell’anno scolastico 95/96 ai 783 dell’a.s. 2012/13.• Forte incremento anche degli alunni con disabilità presenti nelle scuole superiori: circa 180 nell’a.s. 12/13.• I problemi posti dalla presenza degli alunni stranieri nelle scuole: sono circa 4.600.• Il numero degli insegnanti di sostegno che non possono essere ulteriormente aumentati: sono 317 gli insegnanti di sostegno e 369 quelli ad personam per una spesa complessiva, da parte degli Enti Locali di circa 3,5 milioni di €, ed una richiesta crescente di sostegno delle scuole ai comuni, che oggi difficilmente possono essere soddisfatte;•una criticità nel rapporto con le famiglie che faticano a prendere atto della situazione di difficoltà dei propri figli.Nella analisi della tipologia di intervento che vengono richieste viene messo in evidenza che quella principale (375) sono di carattere relazionale e di apprendimento, mentre le altre cause sono sopratutto di carattere sociale. Per affrontare questa situazione ad oggi sono stati attivati questi strumenti:•un protocollo di intesa scuola Enti Locali.•messa a disposizione di risorse specialistiche per rafforzare azioni più inclusive.•una migliore organizzazione per una migliore individuazione dei bisogni degli alunni.Per quanto riguarda l’utilizzo del PEI si mette in evidenza che in molti casi il suo utilizzo è frammentato ed attivato senza un raccordo unitario fra tutte le componenti scolastiche e la famiglia. E’ stata messa in evidenza la necessità di realizzare un grande lavoro in raccordo con le famiglie, che rappresentano l’incognita, dal punto di vista dei rapporti, del processo che si vuole realizzare. Un processo che secondo Barberis deve basarsi su tre leve principali: l’organizzazione, la didattica, la messa in rete di tutte le risorse disponibili.Per esemplificare un approccio possibile a questa nuova situazione è stato portato come esempio l’esperienza della Scuola di Gardolo di Trento “Il laboratorio del fare” che basa il proprio progetto educativo sullo sviluppo di una propria identità dell’alunno e lo sviluppo di alcune competenze irrinunciabili e parte dalla definizione che “Scuola inclusiva” non è solo quella che si fa in aula ed in un determinato periodo di tempo, ma si svolge in tutti i luoghi, in tutti gli spazi, in tutti i momenti.La concezione dei laboratori, mirata a offrire agli allievi con problematiche di apprendimento temi che tramite il fare possano approcciare tematiche di didattica; si basa su un’organizzazione ben studiata sulle capacità dei singoli per dare ai ragazzi competenze tali da ottenere risultati di alto profilo che possano essere utilizzati oltre i laboratori. Ne sono esempio il laboratorio della cucina dove ragazzi delle scuole medie imparano a fare la pizza, la salsa, la marmellata, ecc. Oppure il laboratorio del ciclo, dove chi ha competenze più manuali assembla le componenti della bicicletta, mentre le capacità teoriche sono indirizzate a capire la funzione dei cambi di velocità. Un aspetto importante nell’esperienza di Trento risiede nella volontà di tutto il corpo docente di collaborare, ad es. nella gestione dell’orario al fine di ottenere mementi flessibili in uno degli aspetti più problematici della vita scolastica.L’idea avanzata in conclusione dalla dott.ssa Barberis è che nel prossimo a.s. si procederà ad individuare 3 o 4 realtà nel lodigiano delle scuole medie inferiori in cui avviare questa esperienza.Dopo la relazione dei professori trentini, la dirigente scolastica della scuola secondaria Cazzulani, prof.ssa Moroni, ha illustrato l’esperienza attuato quest’anno inerente proprio un laboratorio di cucina indirizzato ai ragazzi con maggiori difficoltà. Pur non essendo stato chiarito se vi fossero ragazzi con disabilità, l’esperimento ha prodotto buoni risultati di coinvolgimento dei ragazzi. Anche nella scuola lodigiana il progetto è stato a lungo studiato prima di attivare il laboratorio.L’impressione finale è legata alla considerazione che queste esperienze laboratoriali siano un momento positivo per il coinvolgimento degli allievi con disabilità, ma che dovrebbero normalmente far parte della didattica nella sua interezza. L’integrazione degli allievi con disabilità e con problematiche di apprendimento avverrebbe senza dubbio con maggior semplicità e ciò prima di tutto nell’interesse di quelle famiglie che, con una adeguata strumentazione, potrebbero affrontarlo in maniera più serena. In conclusione merita porre l’accento sulla dicotomia che si va aprendo in seno alla scuola nella gestione degli allievi con difficoltà di apprendimento, sia per gli effettivi ritorni in termini di qualità didattica per la totalità degli allievi stante la presa in carico senza la garanzia di adeguata formazione per gli insegnanti, sia per quanto concerne il loro sostegno in termini quantitativi, che le sempre più frequenti sentenze dei Tribunali riconoscono alle famiglie.
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