In Alsazia ho ritrovato i vicini di casa

Dino Qualla e suo fratello Mario erano fedeli alla Missione Cattolica Italiana durante la mia decennale presenza fra i migranti italiani nel bacino minerario di Seraing, nella popolosa periferia di Liegi (Belgio).Provenivano da Puos di Pulfero, in provincia di Udine. Un giorno volli andare a visitare la loro casa che era vicinissima all’entrata della miniera Cokerill. Un ambiente stretto, ma la stufa ardeva acremente. Il carbone infatti, almeno quello, non mancava a chi lo estraeva dal profondo del sottosuolo della zona. I due mi aspettavano con mamma e sorella, anche il papà era presente, consentendolo il suo turno di lavoro in fondo alla miniera. Ascoltò, vide, sorrise, ma non disse una parola. Qualche mese dopo una frana nel cunicolo di frantumazione del carbone lo uccise. Al funerale nella Cappella italiana i due ragazzi erano accanto alla bara. In una lettera, anni dopo, uno dei due mi scrisse: «Ti ringrazio, don Mario, per la bella gioventù che mi hai consentito di passare alla Missione italiana». Ora, con famiglia, ormai nonno, Dino abita in Alsazia.Nel luglio scorso accolsi il suo invito per una visita in Francia ed ebbi l’occasione di visitare Colmar, Metz, Nancy, Thionville, Mulhouse e Strasburgo, terre di grandi approdi di migranti italiani. Dino inserì anche il Santuario di Sainte Odile, a Mont Sainte Odile a Oberné. Uscendo dal complesso monastico e monumentale di Sainte Odile, prendo una via a destra, con l’indicazione viaria: “Rue Saint Nabor”. Rileggo bene: Via San Nabore! Percorro la via in discesa, circa mezzo chilometro, si arriva ad un centro abitato ben distinto, abbastanza vasto, molto ordinato e imponente. Si chiama appunto San Nabore. Ci informiamo: è un municipio con consiglio comunale proprio, ma il responsabile è il vice-sindaco, che ha tutte le facoltà coordinate con il sindaco di Obernai. All’ufficio turistico abbiamo poi parlato con l’assessore alla cultura, ma solo per telefono, perché era in vacanza. Dalla breve conversazione telefonica, l’assessore è apparso molto contento e felicissimo delle nostre notizie e richieste su San Nabore. Egli si ripromette e ci assicura di fornirci molte informazioni nella prospettiva di stabilire un rapporto ravvicinato e sistematico Obernai-Lodi. Chi l’avrebbe detto che i due Santi, Nabore e Felice, martirizzati sul ponte del Sillaro, a Lodi antica, di fronte alla casa dove nacqui, li avrei ritrovati in Alsazia, terra di confine e di contrasti, ma anche di Gutemberg, inventore della stampa e dove ho ammirato una copia della statua della Libertà, simbolo di New York: il capolavoro, infatti, è stato costruito a Strasburgo.Antonio Giovanni Riu scrisse un bel volume patrocinato dalla Cariplo, su «Lodi. Una storia non ancora scritta: città, paesi, villaggi, località, piazze, viali, via, vicoli intitolati a Lodi, rifacendosi anche al volume di Giuseppe Agnelli dal titolo: «II nome e la memoria di Lodi nel mondo”.Una panoramica storica, economica, turistica delle città o località o vie che portano il nome di Lodi o personaggi lodigiani. Il nome di Lodi ricorre in 20 località USA, ma anche in Tanzania, Turchia, Zaire, Canada, India, Oceania.Un capitolo è dedicato a Lodi in Italia e Francia, ma non si riscontra il nome dei due santi lodigiani in quel di Strasburgo. Un capitolo, poi, richiama la toponomastica in Italia e nel mondo. Niente sulla città di San Nabore e Felice.Non è la prima volta che questi due santi mi sorprendono. Nel 1960 sono stato involontario protagonista del ritrovamento in Belgio, in due busti di rame, delle teste dei due martiri.

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Era una rara mattinata di sole della primavera del 1960 quando arrivai per tempo alla parrocchia di Val St. Lambert per la riunione del clero del vicariato di Seraing, diocesi di Liegi, in Belgio. Ho sempre apprezzato il livello culturale del clero belga ed a quelle riunioni che si proponevano l’aggiornamento teologico e sociale oltre che l’incontro fraterno, cercavo di non mancare mai. Quella mattina trovai i primi colleghi arrivati intenti ed interessati al giornale «La Meuse» perché portava la notizia del ritrovamento, a Namur, all’interno di due busti di rame argentato, di due cassette sigillate e timbrate con le reliquie dei martiri San Nabore e San Felice. Quando sentii quei due nomi Nabore e Felice, non credevo a me stesso. Si parlava proprio dei due martiri Nabore e Felice martirizzati sul ponte del Sillaro a Lodi Vecchio (presso Milano) proprio a due passi dalla casa in cui sono nato. Nel pomeriggio mi recai immediatamente a Namur e sul Quai de la Meuse rintracciai la casa dell’antiquario. Vidi i busti di rame argentato, vidi le cassette sigillate con nastro rosso ed i timbri della visita pastorale di San Carlo Borromeo. L’antiquario informò il Vescovo di Namur che non esitò a scendere a Milano per informare l’arcivescovo monsignor G.B. Montini (poi Paolo VI) e si constatò che nella chiesa parrocchiale dei Santi Nabore e Felice in via Gulli 62 c’erano due nicchie vuote da dove la soldatesca di Napoleone aveva trafugato i due busti dei santi e portati in Francia. Furono venduti e rivenduti come pezzi di arte. L’ultimo acquirente, un belga di Namur, durante i lavori di riparazione, trovò una cassetta sigillata all’interno del busto. Ad accertamenti ultimati il galantuomo donò e consegnò i due pezzi d’arte, con rispettive cassette sigillate delle reliquie al Vescovo di Namur. I due santi tornarono a Milano dove furono accolti dal Cardinale ed esposti nel duomo per venti giorni alla venerazione dei fedeli. Ma tornarono anche a Lodi Vecchio, proprio sul ponte dove furono uccisi in testimonianza della loro fede, primi martiri che con il loro sangue piantarono la comunità cristiana della diocesi lodigiana.Dei due martiri Sant’Ambrogio scrisse: «Provenienti dalla Mauritania (leggi Africa settentrionale) erano stranieri nella nostra terra». Oggi li avremmo chiamati «immigrati» nella nostra terra, ma con il massimo prezzo del loro sangue nel martirio questi giovani stranieri hanno piantato la nostra chiesa lodigiana, la mia chiesa. Raccontando l’episodio sul un libro fresco di stampa ho così commentato: «Grazie, carissimi Santi, Naborre e Felice. Nel vostro nome ed alla vostra luce ho terminato la mia decennale missione fra i lavoratori italiani nelle miniere del Belgio».

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