Si è da poco spenta l’eco degli Stati Generali del Lodigiano e dell’appassionato dibattito che li ha accompagnati. È ora il momento di fare qualche riflessione sui destini del territorio, assumendo come guida le analisi e le proposte scaturite dal Libro Bianco. Il punto fondamentale è il risparmio della risorsa suolo, quale premessa e condizione per dare un senso e una prospettiva alla cascina. Chiusa nella morsa della speculazione immobiliare e incapace di reggere i mercati, essa rischia di ridursi alla pura sussistenza o addirittura di scomparire. Drammatiche sarebbero le conseguenze per l’economia nazionale, se pensiamo che la sola Lombardia produce il 41% del fabbisogno italiano di latte e che la domanda mondiale di cibo è destinata a crescere nei prossimi decenni sia per l’aumento della popolazione del pianeta, sia per il miglioramento della dieta alimentare nei Paesi emergenti.L’imperativo categorico è salvare la cascina, recuperandola per quanto possibile alla funzione agricola, non certo alla conversione in dimore borghesi, discoteche, ristoranti o centri sociali, come alcuni propendono. Questo è l’unico modo per salvaguardare una terra che ha accumulato da tempo immemorabile investimenti di valore inestimabile (miglioramenti, bonifiche, rogge e canali irrigui, alberature, sistemazioni agrarie, ecc.), creando le forme tipiche del paesaggio padano. Un uso del suolo e dei fabbricati diverso da quello agricolo vanificherebbe la straordinaria pianificazione del territorio realizzata nei secoli scorsi e manderebbe in fumo un’immensa ricchezza sociale. La possiamo salvare solo se sappiamo che cosa essa esattamente era in origine e comprendiamo lo spirito che la animava. Su questo punto non tutto è chiaro. Se si guarda una cascina da lontano, racchiusa dalla cortina dei muri di cinta, il suo profilo architettonico ha qualcosa di enigmatico e surreale, che ricorda un cenobio, un centro monastico o un fortilizio. E’ indubitabile che un tale accostamento richiama la dura disciplina del lavoro, l’austerità dei costumi, i principi di condivisione e solidarietà, la prevalenza dei valori etici e religiosi. All’interno, però, l’organizzazione degli spazi rivela la sua complessa natura di centro di produzione agricola, dotato di stalle, fienili, case padronali e coloniche, silos, corti, porticati, aia e orti familiari. Resta però difficile capire se essa era una struttura di impronta capitalistica o se invece funzionava come una comunità contadina dedita alla coltivazione della terra. Molto verosimilmente la cascina era nella sua dimensione virtuale l’una e l’altra cosa. Il salariato padano non ha mai avuto accesso alla terra né per diritto di proprietà né a titolo di rappresentanza in quanto membro della collettività rurale. Tuttavia è innegabile che la proverbiale ricchezza dell’agricoltura irrigua era frutto delle mani e dell’ingegno contadino. L’atmosfera claustrale conserva ancora oggi qualcosa di mitico e primordiale e forse è questa la ragione che ha suggerito al regista Pier Paolo Pasolini di scegliere una cascina del Lodigiano, la Moncucca sita nel comune di Casaletto Lodigiano, per allestirvi il set cinematografico del film “Edipo Re”, come documentava minuziosamente “il Cittadino” del 25 maggio 2005. Salvare il mondo delle cascine non è facile. Tanti sono i problemi, le difficoltà, i dilemmi. I prezzi all’origine sono da decenni così bassi da compromettere l’esistenza stessa dell’impresa. L’associazionismo, fortemente voluto dall’Unione europea per garantire i redditi dei produttori, non funziona correttamente. Un quesito s’impone: come mai la cascina era vincente e competitiva quando era imperniata sul prato e sulle marcite e faceva affidamento sulle variopinte schiere di cavallanti, mansulè e seghisin, e si è rivelata invece un gigante dai piedi di argilla con l’avvento del mais e dell’automazione? Forse il tocco manageriale e lo spirito spartano del periodo d’oro si sono sciolti come neve al sole e il disinteresse della politica non ha aiutato a uscire dai guai. Chi ha interesse a liquidare uno dei modelli agricoli più celebri al mondo?Lo scienziato Giovanni Haussmann, Fanfullino 1974, prospettava una possibile soluzione nel rafforzare l’assetto comunitario. Egli sosteneva che “la proprietà della terra andrà di regola comunalizzata, ossia attribuita a cooperative, comunità e altre forme associative, senza escludere [...] gestioni individuali”. In tal modo, “la cooperazione prenderà il posto della competizione, i valori materiali cederanno la priorità a quelli spirituali” (Suolo e società, Iscf, Lodi 1986, pp.715-716). Non sappiamo se Haussmann avesse in mente la cascina padana, ma bisogna rilevare che la sua affermazione è in controtendenza rispetto al corso della storia che vede il declino delle più note forme sociali di coltivazione della terra quali il kibbuz israeliano, il kolkhoz russo, la Comune cinese e i nostri alpeggi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA