Immigrati: vogliamo tenere desta la speranza

L’Ufficio diocesano problemi sociali, a seguito del dialogo e del confronto con gli altri uffici diocesani più direttamente coinvolti, invita la comunità cristiana della nostra terra a riflettere su quanto sta avvenendo in Libia, in tutto il nord dell’Africa e del nell’area sud-orientale del Mediterraneo. Condividendo quanto affermato dal Presidente della Conferenza Episcopale Italiana lo scorso 28 marzo, e partendo dalle chiare condanne di ogni forma di violenza espresse dai papi del XX e XXI secolo, di fronte alla complessità delle vicende rilanciamo un dubbio a cui il Presidente della CEI dà voce: «Eppure, viene detto oggi, qualche crepitio si sarebbe potuto cogliere se si fosse tenuto lo sguardo rivolto sulla vitalità dei popoli più che sull’immobilità dei regimi; se si fosse stati disposti a considerare gli indici antropologici più decisivi di quelli politici». Ci si può chiedere perché questo non sia avvenuto e se si sia cercata ogni strada alternativa all’intervento militare. Invitiamo ciascuno a riflettere su queste lacune, e su una constatazione, diremmo, profetica contenuta nel messaggio di due commissioni episcopali in occasione della giornata della salvaguardia del creato (1 settembre 2011): « Bisogna anche rimarcare il fatto che in anni recenti è cresciuto il flusso di risorse naturali ed energetiche che dai Paesi più poveri vanno a sostenere le economie delle Nazioni maggiormente industrializzate... Come osserva il Papa nell’Enciclica Caritas in veritate, “l’incetta delle risorse naturali, che in molti casi si trovano proprio nei Paesi poveri, genera sfruttamento e frequenti conflitti tra le Nazioni e al loro interno” (n. 49)». Come ufficio di pastorale sociale invitiamo tutti a una riflessione sui poveri, che sono le vittime di quanto sta avvenendo. Vogliamo che ciascuno anzitutto abbia a considerare le persone che sono in gioco. Poveri sono i popoli oppressi dalle dittature di questi paesi mediterranei, che ora reclamano i loro diritti. Si tratta del popolo libico, ma non dimentichiamo i popoli di grandi e piccoli stati di tutto il Mediterraneo meridionale e orientale, di cui oggi poco ci si occupa nella logica sensazionalistica dei mass media. Poveri sono coloro che in questi giorni vedono la violenza invadere le piazze, le strade, le case. Poveri sono i profughi che in questi giorni si aggrappano disperatamente a lembi della nostra terra, quando riescono ad arrivarci. Poveri sono anche i ragazzi dell’Africa subsahariana, reclutati per pochi dollari e mandati a farsi massacrare o a massacrare la popolazione inerme. Probabilmente alcuni di questi vengono da quei campi profughi in cui il regime di Gheddafi li aveva bloccati in condizioni disumane, mentre essi speravano di poter approdare a un futuro di lavoro nella nostra Europa... Al di là e al di sotto delle scelte politiche e militari ci sono queste migliaia di poveri che non possono far sentire la loro voce. A ciascuno di noi devono stare a cuore anzitutto queste persone. Con la riflessione si accompagna l’azione. Ci vogliamo impegnare all’opera necessaria e delicata dell’accoglienza. Le questioni sono complesse e al cuore che cristianamente spalanca le braccia si deve accompagnare il cervello che ragiona cercando il vero bene per tutti. Se da una parte non possiamo esimerci dalle molte e legittime domande circa la liceità o meno della guerra, e circa i criteri di sviluppo economico sociale da mettere in atto nei territori martoriati dalla violenza e dalla miseria, d’altra parte non possiamo neppure rinunciare a cercare e realizzare il modo migliore per prenderci cura di tutte quelle persone che non solo bussano alle nostre porte ma hanno già varcato la soglia e sono entrate in “casa nostra”. Il volto del povero non ha più i tratti di immagini mediatiche, ma vive di fronte e a fianco a noi. Questa prossimità preme sui nostri affetti e le nostre ragioni invocando un aiuto il più rapido e migliore possibile. Da qui nascono domande che richiedono risposte fondamentali per una fattibile accoglienza. Chi si prenderà la responsabilità della permanenza di questi numerosi gruppi di persone? Quali tempi si prevedono per l’accoglienza, e quali modalità saranno messe in atto per offrire a questa gente occasioni reali di riscatto? Quali risorse economiche saranno investite per organizzare, gestire e risolvere l’accoglienza? E’ doveroso porsi questi problemi, ma come cristiani non possiamo non decidere di accogliere e servire i poveri. Invitiamo gruppi e parrocchie a muoversi insieme, con il coordinamento della Caritas lodigiana, per un’opera efficace e non velleitaria. Abbiamo la speranza che questa situazione di enorme difficoltà possa essere trasformata, dalla buona volontà di tutti, in opportunità per un incontro, un dialogo, l’apertura di nuove strade di sviluppo. Vogliamo tener desta questa speranza con la preghiera, la riflessione, la carità concreta.

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