In attesa dell’estate le Caritas diocesane stanno mettendo in atto strategie contro lo sfruttamento dei lavoratori stagionali immigrati che si spostano nelle campagne del meridione e in altre zone agricole del nord Italia. Se ne è parlato durante il Migramed meeting che si è tenuto nei giorni scorsi a Otranto, durante il quale si è riunito anche un coordinamento nazionale, promosso da Caritas italiana, contro lo sfruttamento lavorativo e la tratta. “Non siamo noi a dover trovare le soluzioni - precisa Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana -. Possiamo solo dare risposte alle necessità più urgenti e pungolare le amministrazioni pubbliche”. Aspettano i braccianti stagionali per raccogliere le angurie e i pomodori nella diocesi pugliese di Nardò-Gallipoli, dove nel 2011 ne arrivarono 1200. Dopo il crollo del mercato delle angurie, lo scorso anno solo 350. Qui le istituzioni e le organizzazioni della società civile avevano tentato un Centro per l’impiego contro lo sfruttamento dei caporali e il lavoro nero, che però non ha funzionato. La Caritas stessa portava gli immigrati negli uffici del centro. “Dei 158 braccianti iscritti alle liste - spiega Luisella Albano, della Caritas diocesana di Nardò-Gallipoli - solo 36 sono stati avviati all’impiego”. Ora sono ancora pagati a cottimo: 6 euro ogni 300 chili di pomodori ciliegino raccolti, 5 centesimi ogni chilo di anguria. In quegli anni l’amministrazione comunale aveva anche aperto un campo di accoglienza temporaneo alla Masseria Boncuri, gestito da un’associazione, ma poi è stato chiuso. “I lavoratori stanno ancora lì - precisa la collega Paola Gaballo -, ma dormono sotto gli alberi, nelle masserie abbandonate. Sono in maggioranza ghanesi, tunisini, nigeriani. Di recente sono arrivate anche alcune donne. Sono sempre accompagnate. Abbiamo il sospetto siano coinvolte in un giro di prostituzione”. Dopo i fatti del 2011, con gli scioperi degli immigrati, gli arresti di 16 imprenditori che li sfruttavano e la successiva approvazione della legge sul caporalato (ma sono tutti agli arresti domiciliari e continuano a dirigere e firmare accordi con le istituzioni), la Caritas sta ora pensando di organizzare, per l’estate, un servizio di trasporto e servizi per migliorare le condizioni igienico sanitarie.Nel territorio della Capitanata, in provincia di Foggia, con la chiusura delle fabbriche del nord a causa della crisi e dei centri che accoglievano i profughi dell’emergenza Nord Africa, sono già 600 gli africani francofoni che vivono al Ghetto di Rignano, case contadine abbandonate e trasformate in una sorta di villaggio africano senza acqua né elettricità. In estate arrivano 16mila persone per raccogliere i pomodori. Poi si spostano nella zone delle olive, dell’uva, quindi in Calabria per le arance. Vengono pagati 3 euro e 50 ogni cassone di 250 kg. La metà di quanto guadagnavano trent’anni fa i braccianti italiani. Qui è attivo lo scalabriniano padre Arcangelo Maira, direttore della Migrantes di Manfredonia, che organizza ogni anno campi estivi per giovani volontari (www.iocisto.eu) da luglio a settembre. L’anno scorso ne ha coinvolti 120, quest’anno sono già 80 i prenotati. “Gli scout allestiscono una grande tenda dove organizziamo corsi di italiano - dice padre Maira -. È un pretesto per informarli sui diritti e invitarli a denunciare lo sfruttamento. È come un negozio che va a gonfie vele. E dove ci sono alti guadagni c’è anche la camorra, che chiede il pizzo ai caporali per corrompere giudici, avvocati, magistrati”. Padre Maira non ha paura di denunciare episodi di vera e propria riduzione in schiavitù: “Romeni e polacchi costretti ad indebitarsi per venire in Italia. Vengono segregati negli hangar e controllati a vista. Lavorano senza essere pagati, per rimborsare il debito”. Il gruppo di volontari guidato dallo scalabriniano ha attivato una street radio, “Radio Ghetto”, e messo a disposizione una ciclo-officina. “Con le biciclette gli immigrati sono più autonomi dai caporali. Possono cercare nuovi lavori o fare denunce”.La crisi ha abbassato il prezzo del lavoro anche per gli africani che lavorano nel caporalato edilizio a Castel Volturno, provincia di Caserta, comune regolarmente commissariato ogni tre anni. Tutto in mano alla camorra e a connivenze varie che cementificano a tutto spiano, nell’abusivismo edilizio più totale. “Con lo sciopero del 2010 eravamo riusciti ad alzare il salario degli edili da 30 a 40 euro al giorno - denuncia Gianluca Castaldi, della Caritas di Caserta - Ora con la crisi si è scesi a 25 e perfino 15 euro al giorno”. Nella cittadina campana vivono 6mila italiani e 18mila africani (ghanesi, nigeriani, liberiani, ecc.). Qui la lingua più parlata è il twih del Ghana, poi, nell’ordine awusa, igbo, benin, inglese, francese, napoletano. Tanto che si è creato un simpaticissimo miscuglio linguistico afro-napoletano. In pescheria: “Bello il mio fish”; “Quello è un good guagliò”, per dire di un ragazzo che non spaccia droga. “Nonostante il solito lamento contro gli immigrati, che va di moda - racconta Castaldi -, per gli italiani in realtà sono un grande business: gli affittano le case, li utilizzano per ristrutturare le villette al mare a basso costo, facendoli lavorare 12 ore al giorno”. In più gli africani sono organizzati in un Movimento migranti e rifugiati Caserta. Paradossalmente è la realtà sociale più attiva sul territorio. “Il nuovo commissario, un siciliano bravissimo - dice Castaldi -, li coinvolge sempre. Nelle settimane scorse centinaia di africani hanno raccolto gratuitamente tonnellate di immondizia sulle coste, nelle pinete e nell’oasi di Varicone, che è una discarica a cielo aperto”. Le notizie positive sugli immigrati di cui nessuno parla. A luglio saranno in migliaia a Rosarno, in Calabria, per raccogliere le arance. Lo sfruttamento si sposta. E continua.
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