Il Vesuvio è davvero una bomba

Una notizia che non ha fatto… notizia. Lo scorso mese di gennaio, il Dipartimento Grandi Rischi della Protezione Civile ha deciso di allargare la “zona rossa vesuviana”. I Comuni sono diventati 24: oltre ai 18 indicati (Boscoreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Pompei, Portici, Sant’Anastasia, San Giorgio a Cremano, San Sebastiano al Vesuvio, San Giuseppe Vesuviano, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase), sono stati ricompresi i Comuni di Nola, Palma Campania, Poggiomarino, San Gennaro Vesuviano, Scafati e l’enclave di Pomigliano d’Arco nel Comune di Sant’Anastasia, oltre le circoscrizioni di Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio del Comune di Napoli. Le aree d’”interesse” sono state divise in due: la prima definita ad “elevato rischio vulcanico”, esposta al rischio di invasione di flussi piroclastici (gas e materiale solido a elevata temperatura), la seconda “ad elevato rischio crolli delle coperture degli edifici”. In caso di eruzione del Vesuvio, sono considerate a rischio evacuazione – secondo le stime - 800mila persone e gli esperti affermano che comunque il numero delle persone interessate non può scendere sotto le 600mila. Dovrebbero essere evacuate in soli tre giorni. La densità della popolazione – 2.600 ab/kmq nella provincia napoletana – il dissesto idro-geologico e la situazione della viabilità, non consentono di prevedere, rebus sic stantibus, che un’operazione di tale portata possa essere garantita. Gli allarmi non servono a nulla e bene hanno fatto i responsabili della Protezione Civile a sottolinearlo. Così come, sono di rilievo le parole del Capo della Protezione Civile Franco Gabrielli: “Su questi temi riscontro ancora un’eccessiva insensibilità e una mancanza di consapevolezza. Nella zona dei Campi Flegrei la percentuale di gente che non conosce il rischio su cui, letteralmente, è seduta, raggiunge percentuali tra il 70 e l’80%. Questa insensibilità spesso si traduce in un atteggiamento non adeguato delle istituzioni”. E’ necessaria, quindi, un’opera d’informazione capillare della popolazione, che descriva coerentemente il rischio e adotti le misure per contenerne gli effetti.Se un’eruzione non sembra imminente, è anche vero che studi scientifici pubblicati su riviste internazionali, attestano al 4% un’eruzione analoga a quella che devastò Ercolano e Pompei nel 79 d.C. o quella detta “pomici di Avellino”, datata tra il 1880 e il 1680 a.C.. Scriveva la rivista “Nature” nel numero di maggio del 2011: “Un simile approccio probabilistico, sembra l’unico a disposizione di autorità e studiosi, in mancanza di sistemi più accurati per prevedere le eruzioni”. “Nature” definisce il Vesuvio “la bomba ad orologeria di tutta l’Europa” e mette a confronto vari studi, tra i quali quello del team di Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano, che ipotizza l’esistenza di una vasta camera magmatica a circa 8-10 chilometri di profondità sotto il Vesuvio. Lo studio ribadisce la possibilità che i flussi colpiscano anche al di là della cosiddetta “zona rossa”, della quale lo stesso Mastrolorenzo chiede da tempo l’estensione all’intera area urbana di Napoli. L’eventualità da fronteggiare potrebbe essere drammatica e Katherine Barnes, nell’articolo di “Nature” sopra richiamato, sostiene: “Quando si appronta un piano di emergenza, occorre tener conto anche del cosiddetto ‘worst-case scenario’, cioè del peggiore caso possibile”. Sul piano storico, conserviamo una testimonianza del peggior caso possibile. E’ quella di Plinio il Giovane, che descrive al suo amico Tacito l’eruzione del 79 d.C.: “[...] Una nube nera e terribile, squarciata da guizzi serpeggianti di fuoco, si apriva in vasti bagliori di incendio: erano essi simili a folgori, ma ancora più estesi [....] Dopo non molto quella nube si abbassò verso terra e coprì il mare[...]. Cadeva già della cenere, ma ancora non fitta. [...] Scese la notte, non come quando non v’è luna o il cielo è nuvoloso, ma come quando ci si trova in un locale chiuso a lumi spenti. Udivi i gemiti delle donne, i gridi dei fanciulli, il clamore degli uomini: gli uni cercavano a gran voce i genitori, altri i figli, altri i consorti, li riconoscevan dalle voci; chi commiserava la propria sorte, chi quella dei propri cari: ve n’erano che per timore della morte invocavano la morte [...]”.

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