Il primario della Rianimazione lascia Lodi dopo cinque anni - VIDEO

Enrico Storti vince un concorso a Cremona: «Abbiamo riorganizzato il Maggiore con gli schemi degli ospedali più importanti»

Lascia Lodi e va a Cremona dove ha vinto il concorso. Il dottor Enrico Storti, direttore del dipartimento di emergenza urgenza e primario di anestesia e rianimazione, il primo dicembre inizierà la sua nuova avventura, dopo 5 anni nell’Asst di Lodi, nell’ospedale ora guidato dall’ex manager lodigiano Giuseppe Rossi. «È un ospedale più grande», dice il medico, che ha vissuto la prima linea contro il covid, in unità di crisi, e ha guidato la trasformazione dell’ospedale, durante la prima ondata pandemica, insieme ai suoi colleghi Stefano Paglia e Pietro Bisagni. Storti, specialista in ecografia al letto del paziente, era arrivato a Lodi, dopo 16 anni nel trauma center e nella burn unit di Milano Niguarda, a febbraio 2016. L’incarico era di primario della rianimazione. Successivamente, è diventato responsabile anche delle sale operatorie e della terapia intensiva di Codogno e direttore del dipartimento di emergenza urgenza. «In questi anni i numeri sono cresciuti - spiega il medico -; nel 2015, in rianimazione, con 7 letti, erano stati ricoverati 200 pazienti. Nel 2019, prima del covid quindi, con lo stesso numero di letti e di operatori, i malati sono saliti a 350». A cambiare, dice il medico, sono stati i criteri di accesso dei malati in ospedale. «Abbiamo applicato i criteri dei grandi ospedali - spiega - . È cambiato il modo di lavorare e trattare i pazienti. Abbiamo creato anche dei letti di subintensiva. Abbiamo lavorato in maniera sinergica con il pronto soccorso e le sale operatorie in un’ottica dipartimentale. Prendere un numero più ampio di pazienti dal pronto soccorso in rianimazione, ha consentito al dipartimento di lavorare meglio. Io, Paglia e Bisagni ci siamo intesi subito».

In concreto, sotto la sua direzione, sono nati anche il Met, la squadra dei medici d’urgenza che «ha liberato gli internisti e i chirurghi per le visite ambulatoriali e le operazioni, ridotto del 40 per cento le consulenze dei rianimatori e del 20 i ricoveri in terapia intensiva». Gli infermieri sono stati posti al centro del percorso di cura. Fondamentale, secondo il primario, è stato anche l’ingresso nel network Giviti, gestito dall’istituto Mario Negri, che mette a confronto le rianimazioni di tutta Italia. Questo ha mostrato come «Lodi sia precoce nell’iniziare la terapia antibiotica mirata, mentre, avendo iniziato tardi a occuparsi di sub intensiva, sia ancora in difficoltà nella gestione di questi pazienti». Quello che deve fare un rianimatore, dice Storti, è anticipare l’evoluzione critica del malato. «Bisogna essere sempre davanti a lui - annota -, cercare di anticiparlo, capire come sta andando. Non bisogna solo osservare, per essere protagonisti dobbiamo saper guardare oltre. Solo così si può portare il malato a raggiungere gli obiettivi terapeutici desiderati. Il rianimatore è lo specialista delle scelte terapeutiche». La mortalità in terapia intensiva, covid a parte, è scesa tra 2018 e 2019, passando dal 22,3 al 19,7 per cento. «Restano da migliorare - dice -, le strategie di ventilazione per trattare i malati più gravi e i malati post chirurgici complessi». Se fosse rimasto in sella avrebbe «lavorato di più su una sempre maggior integrazione tra Lodi e Codogno».

Nella prima ondata pandemica, il dipartimento di emergenza urgenza ha capito subito quanto fosse centrale il ruolo dell’ecografia polmonare. «Nella prima ondata i pazienti finiti in rianimazione, a Lodi - spiega -, sono stati 104, con una mortalità del 59 per cento. Nella seconda ondata, invece, i malati sono stati circa 30 con 6 decessi (dato aggiornato alla settimana scorsa). Questi risultati sono stati possibili grazie a tutto il personale medico e infermieristico che è riuscito a superare brillantemente la prova del covid davanti a una platea internazionale. Senza di loro non sarebbe stato possibile».

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