Il presepe della discordia al “Parini”

Questa volta non è la realtà multietnica a dividere le coscienze di studenti, genitori e insegnanti, né un episodio di discriminazione razziale o religiosa, questa volta è la storia laica di un prestigioso Liceo milanese a sollevare un problema. Si tratta del Liceo Classico «Giuseppe Parini» di Milano dove le divisioni in seno al collegio docenti hanno indotto un’insegnante, nuova dell’ambiente, a rinunciare ad allestire un piccolo presepe in sala professori. La notizia è di questi giorni e potrebbe benissimo rientrare nella casistica che fa del problema presepe un classico sotto Natale. Ma cosa c’è di diverso in questo caso tanto da imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica. C’è di mezzo la storia laica di un istituto. Non si tratta di recite con personaggi camuffati o di canti natalizi dai testi modificati per non urtare la sensibilità di alunni o genitori di un diverso credo religioso. Alla docente è stato impedito di allestire quel piccolo presepe in sala professori poiché in contrasto con la «tradizione laica dell’Istituto». Una tradizione portata avanti da intere generazioni di insegnanti che si alternano da tempo immemorabile al «Parini», depositari e difensori del principio laico di questo istituto. La loro prima preoccupazione è quella di far capire subito ai nuovi docenti che oltrepassano la soglia del Liceo Classico «Parini» questa indiscutibile “laicità” che non può essere messa in discussione da un presepe, sia pur piccolo, anche a costo di apparire anacronistici o antistorici. Le argomentazioni di questi insegnanti laici hanno avuto evidentemente il sopravvento in seno al collegio docenti col risultato che il presepe al «Parini» deve attendere tempi migliori. A quando questi tempi migliori? Boh? Al momento nessuno lo sa. Intanto si è, invece, saputo che la professoressa ha rinunciato al presepe per evitare inutili tensioni. La sua insistenza avrebbe alimentato, infatti, divisioni e discordie tra colleghi, avrebbe innescato un processo alle idee e avrebbe forse distolto l’attenzione del corpo docente dai veri problemi che certamente in un Liceo non mancano. «Non siamo una scuola di tradizione cattolica, il Parini non è il Berchet» le è stato detto senza tanti complimenti. E’ come averla invitata a lasciare il «Parini» per trasferirsi al Liceo Classico «Giovanni Berchet» ed esaudire, così, il suo intimo desiderio di fare un presepe in sala professori. Dunque al «Parini» riemerge lo scontro tra Guelfi e Ghibellini, tra chi cerca nella tradizione le ragioni della vita e chi dichiara guerra ad ogni tipo di dogma. Qualche docente ha persino tirato in ballo il cammino post rivoluzionario francese che ha sancito la fine del drammatico scontro tra Sanculotti e Giacobini. Pare che il confronto si sia svolto nella chiarezza e nel reciproco rispetto. Almeno così dicono. L’importante per i docenti del «Parini» è essere riusciti a far capire alla nuova professoressa che lì vige una storica tradizione laica da rispettare, non così al «Berchet» dove è presente una storica tradizione cattolica. E’ stato giustamente precisato che non si è trattato di una contrapposizione tra cattolici e atei, che non c’è stato nessuno scontro, che in una scuola laica le idee vivono e sono oggetto di democratico confronto tra le parti. Meno male! Intanto a prevalere è il carattere laico. Comunque questo presepe non si doveva fare. E il presepe, infatti, non si è fatto. Secondo alcuni insegnanti è la laicità a delimitare lo spartiacque, il confine tra scuole dove possono essere allestiti presepi e scuole dove ciò non è consentito. Per certi docenti la laicità non discrimina i soggetti, non impedisce a chi la pensa diversamente di dare concretezza alle proprie sensibilità. La laicità non divide. La laicità unisce. Eppure al «Parini» si è consumato uno strappo alla regola. Se non è questione di antitesi tra ciò che è cattolico e ciò che non è cattolico, allora vuol dire che è questione di antipatia. E qui vale la pena fare ulteriori precisazioni. Se non è antipatica ai colleghi l’insegnante che voleva allestire il presepe, allora sarà il presepe ad essere antipatico a qualcuno. Un’antipatia che viene da lontano e senza scomodare la Francia post-rivoluzionaria, è bene fermarsi ai fatti di casa nostra. Personalmente credo che qualche docente abbia lo stomaco in disordine al sol ricordo dello scontro tra Stato e Chiesa, della breccia di Porta Pia, del «non expedit» di Pio IX°, dimenticando che il mondo nel frattempo è andato avanti. Nel caso del «Parini» non è vero che la laicità ha unito il collegio docenti nell’unica decisione che poteva essere presa senza generare conflitti. Al contrario. La decisione presa ha rimarcato la contrapposizione tra laici e cattolici senza che nessuno, nemmeno il mio giovane collega, sia riuscito a trovare una sintesi che potesse accomunare tutti. Quello che è successo al «Parini» ci dice che c’è ancora chi vede nel muro che separa e divide una sicurezza alle proprie convinzioni, un muro invalicabile che dà certezza al percorso per cui ciascuno è pronto a spendersi per mettersi al riparo dalle confusioni ideologiche. Da questa esperienza ne esce fuori una cultura che si fa potenza del diritto fino a imporre, il proprio credo, le proprie idee. Cosicché apprendo che i laici sono padroni indiscussi al «Parini», mentre i cattolici lo sono al «Berchet». A mio parere al «Parini» hanno sbagliato tutti. Ha sbagliato il mio collega che non ha impedito che la discussione si trascinasse su un confronto culturale che ha finito per alimentare una carica conflittuale tra docenti; hanno sbagliato i cosiddetti docenti laici, animatori di una storicità che vede nel laicismo di radice francese il punto di riferimento culturale della propria storia; ha sbagliato la docente nuova a rinunciare in nome della mancata unanimità del collegio sulla sua proposta. Se è vero che la cultura laica non tollera principi inconciliabili, è altrettanto vero che la stessa laicità si fonda su valori universali come la libertà di espressione, il rispetto dei diritti altrui, la capacità di capire le ragioni degli altri. Un terreno fertile su cui si poteva incamminare il confronto senza cercare l’unanimità ad ogni costo.

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