Il patrimonio in dissolvenza dei cimiteri

Ogni cimitero dei nostri paesi, piccolo o grande che sia, possiede un indiscusso apparato storico da proteggere e salvare. Gli dà corpo un insieme di preziosi monumenti funerari che, in un passato dove il senso del bello e del sacro quasi si confondevano, hanno preso forma per essere collocati sulle tombe di famiglie benestanti, ma anche semplici e di modeste disponibilità. Dietro ad ognuno c’è una storia, intima, privata, nascosta e forse indecifrata; si celano vite, volti, emozioni falciati dalla morte e sbiaditi dal tempo. Prevalentemente scolpiti nel marmo questi monumenti rimangono ora il segno di un’arte che non di rado assurge a grazia e bellezza rilevanti, rimanendo nel contempo testimonianza di un’espressione scultorea che ci tramanda stili di un tempo divenuto ormai storico e che racconta influenze, concetti e, perché no, filosofie capaci, ancora una volta, se ben interpretate, di svelare chi eravamo, come vivevamo e quali valori si riteneva importante tramandare ai posteri. Un’eredità dunque non solo artistica, ma anche culturale. Il tempo ha corroso la lucentezza di questo materiale lasciandovi la sua impronta, senza tuttavia sminuirne la dolcezza e magnificenza, ma anzi rivestendolo di quella patina struggente e suggestiva che solo lo scorrere dei giorni sa emanare. Conosco per sommi capi le leggi che regolano il patrimonio cimiteriale. Mi preoccupa, nella fattispecie, al di là di ogni rigida interpretazione dei regolamenti, la sorte di quei monumenti, cippi, lapidi che ancora si ergono su tombe ormai dimenticate, e abbandonate quindi al degrado. Di primo acchito parrebbe facile poterli preservare comprandoli e restaurandoli o custodendoli in magazzini, alla specie dei tanti tesori artistici accatastati negli scantinati dei nostri musei e che, seppur dimenticati, rimangono una testimonianza della nostra storia e una pagina della nostra società. Ma tutto ciò non è possibile. In Comune ci si può solo mettere in lista d’attesa per l’acquisto di una tomba e lo stesso Comune ritorna proprietario di ogni monumento una volta decorso il termine della concessione (70 anni). Nel frattempo, prima che le tombe in pericolo vengano assegnate ai nuovi destinatari e possano essere potenzialmente salvate, queste tante piccole opere d’arte si sgretolano e si sbriciolano per un iter burocratico tanto sciocco quanto illogico. Ma può anche succedere che esse vengano distrutte o semplicemente “spariscano” dall’oggi al domani, per quell’abilità, se non proprio scaltrezza, nella quale gli italiani sono maestri. Il tutto senza che nessuno, almeno in teoria, si accorga del giro del fumo e riesca a capire in quale modo, legale o non, ed in quali mani esse siano finite. Chi è connivente con tali procedure scorrette ed inqualificabili sa ben di che cosa si stia parlando. Eppure tutto tace e, sotto gli occhi dei responsabili istituzionali e dei cittadini, spesso disattenti o semplicemente fiduciosi in chi della res publica dovrebbe farsi carico e garante, uno dopo l’altro svaniscono i resti di un grande patrimonio. Chi sa dire e quantificare quanto già sia andato perso?Presumo che i regolamenti della mia città siano identici a quelli di tutti i Comuni lodigiani. Mi piacerebbe che il problema sollevasse quel tanto di dibattito necessario affinché ci si svegliasse e si vegliasse su una situazione ed un andazzo che potrebbero parer irrilevanti, ma che trascinano con sé abitudini e comportamenti non proprio ortodossi. Senza prescindere dal fatto che il patrimonio a rischio non è cosa da poco ed il valore di quanto si perde non è quantificabile.

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