Il parto ci regalerà un topolino?

Parlare di sviluppo in una fase di recessione suscita perplessità. Il Governo tra mille condizionamenti interni e internazionali sta operando per recuperare risorse da destinare allo sviluppo. I provvedimenti in itinere che modificano gli assetti provinciali e forse porteranno alla realizzazione delle Città Metropolitane, sono il risultato di compromessi e condizionamenti che rischiano di allontanarci dagli obiettivi che rimangono quelli della razionalizzazione della spesa e del miglioramento dei servizi.

• Trasformazione virtuosa del territorio. L’iniziativa che doveva essere accolta come una opportunità suscita reazioni scomposte e spesso irrazionali perché traumatica e incoerente con il quadro legislativo.

• Provincie. Nel programma elettorale del centrodestra dovevano essere eliminate. Ora è passata la convinzione che le grandi provincie servono e vanno salvate mentre le altre devono sparire e i loro territori devono essere inclusi negli enti conservati. L’operazione, come ribadito da voci autorevoli, nel rispetto dell’art.133 della nostra Costituzione può essere attuata solo “Su iniziativa dei Comuni” interessati e non mi risulta che in questi si manifestino spinte suicide. Dobbiamo aspettarci una improbabile modifica costituzionale e nella migliore delle ipotesi tempi lunghissimi. Un provvedimento forzato oggi sarebbe illegittimo e impugnabile come previsto dall’art. 127-bis della Costituzione.

• Città Metropolitane. Sono previste dalla Costituzione e sono state istituite fin dal 1990 con la legge 142. Mai realizzate. Per quanto ci riguarda la trasformazione della Provincia di Milano in Città Metropolitana, sempre “Su iniziativa dei Comuni” e sentite Regione e Provincia, potrebbe essere accettata favorevolmente e quindi realizzata. Rimane l’incongruenza della esclusione della città di Monza limitrofa e intimamente connessa col capoluogo milanese.

• Accorpamento dei piccoli Comuni. Anche questa iniziativa era già prevista dalla legge 142 del 1990. In essa si sollecitava l’unione e la successiva fusione di comunità fino al superamento di 10.000 abitanti col vantaggio di contributi economici. In pratica l’accorpamento, salvo pochi casi non si è verificato perché tutte le comunità difendono naturalmente la loro identità.

È bene comunque rimarcare che lo scudo costituzionale che demanda alle comunità locali le delimitazioni territoriali per le Provincie e le Città Metropolitane, non contempla i territori comunali. Gli accorpamenti dei piccoli Comuni rientrano pertanto nelle facoltà demandate allo Stato e alle Regioni. La collaborazione tra comuni in molti casi, grazie all’impegno degli amministratori, ha avviato tramite convenzioni intercomunali utili iniziative che hanno esteso e reso più economici i servizi alle diverse comunità.

L’operazione in corso è lodevole nelle sue finalità ma estremamente problematica. Tutti siamo in attesa dei provvedimenti governativi che si prefigurano come una corsa a ostacoli. Per molti amministratori si tratta di una tregua armata, ma in tutti vive la speranza che il parto non ci regali il solito topolino.

GianCarlo Rugginenti

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