a rivederla nella bellezza delle sue forme e dei suoi abitanti, può dimenticarla per sempre e aprire gli occhi su una realtà che sta sfuggendo al nostro controllo. I drammatici avvenimenti sulle sponde del Mediterraneo, quel Mare Nostrum ormai condiviso da una molteplicità di etnie, aprono le porte a scenari inquietanti che mettono in crisi ogni nostra certezza. Da tempo sopito sulle ceneri dell’ultimo conflitto, incapace di una visione più ampia e meno individualista, quando non meschina ed egocentrica, sulle problematiche mondiali, l’Occidente non ha previsto e valutato i focolai latenti sotto cui bruciavano e bruciano desideri di libertà, di giustizia, di uguaglianza di popoli da troppo tempo repressi. L’Europa non li ha saputi, ma soprattutto voluti, decifrare, continuando a rincarare la dose di interventi economici, politici, culturali ancora retaggio di un sogno coloniale che da tempo si auspicava sepolto. Aperti gli occhi quasi di colpo, risvegliandosi da un sonno beato in cui sognavamo benessere, prosperità, pace duraturi, ci troviamo di fronte ad eventi dalle proporzioni incontenibili ed inaspettate. Da tempo si sa che guardare il telegiornale significa prepararsi ad una iniezione massiccia di notizie tanto negative da far regredire ogni pur minimo accenno di ottimismo. Oggi allo stupore di fronte ai tanti eventi nefasti che affliggono il pianeta e la sua umanità si aggiunge lo sgomento, generatore di angoscia, provocato dal flusso inarrestabile dei migranti verso le nostre coste. “Angoscia”: la parola più veritiera ed immediata legata all’immigrazione, fenomeno per i più difficile da metabolizzare, parola che può infastidire e scatenare nervosismo, anche e soprattutto in molti cattolici, ma, senza ipocrisia, se non vogliamo mentire agli altri e a noi stessi, substrato del sentimento provato da molti di fronte all’emergenza che stiamo attraversando. Angoscia, quindi, e non paura verso lo straniero (dice Pavese che siamo tutti stranieri), per lo smarrimento di fronte a qualcosa di cui si presume, ma non si conosce ancora a fondo, la portata. Da giorni ci si riempie la bocca di tante parole: inadeguatezza, dell’Italia di fronte alla situazione umanitaria venutasi a creare; sistemazione dignitosa, per le migliaia di clandestini arrivati o in arrivo; accoglienza, leit motiv di associazioni e volontariato, termine, tanto inflazionato quanto ambiguo e pernicioso, se incapace di trasformarsi in effettiva realtà. Sul versante politico il vuoto di un governo incapace di prendere posizioni chiare, ingessato nei suoi timori di ripercussioni elettorali. Posizioni che non si affidino a visite in Tunisia, come già era avvenuto per la Libia, miranti a pattuire accordi, anche e principalmente monetari, pagati poi dall’intero paese; posizioni che facciano sentire una voce ferma e perentoria ad un’Europa dove a contare sono le solite nazioni storicamente “forti”, a volte pronte a prevaricare sulle deboli. Non viene tradito lo spirito dell’Europa, se non si è tutti su un piano paritario? Forse serve il coraggio di fare un’analisi che almeno per una volta metta al bando quel buonismo tipicamente italiano, che non porta a nulla se non ad aggravare una situazione già di per sé tragica. Pochi sono a chiedersi le vere ragioni di un tale esodo, il perché di una folla di giovani incapaci di raddrizzare in patria le sorti del proprio paese e, in modo facile quanto subdolo, attirati da condizioni di vita che suonano come un miraggio dapprima, ma pronte poi a rivelarsi fuochi fatui su cui risulta difficilissimo impostare un domani dignitoso. Perché l’attrazione di troppi giovani verso i modelli, più che la cultura, di un Occidente intimamente denigrato con provocazione ed arroganza e nel quale di certo molti non si identificano? Può sembrare poco cristiana, la mia visione, ma siamo sicuri che in questo momento l’Italia in primis, l’Europa tutta, ma anche ciascuno di noi stia facendo il vero bene di questi popoli, di tanti poveri esseri umani allo sbando, aprendo frontiere e accogliendoli indiscriminatamente per poi mandarli allo sbaraglio? Non sarebbe più proficuo e dignitoso impostare interventi capaci di muovere l’economia arenata e mai decollata di tanti paesi e far prendere loro coscienza di responsabilità che vanno assunte e non delegate? Il colonialismo è stato certamente una pagina di storia triste e deleteria, di cui l’Occidente deve fare il mea culpa e che i paesi assoggettati stanno ancora scontando, ma gli errori della storia, per quanto negativi, vanno superati rimboccandosi le maniche e non piangendo all’infinito, o peggio ancora fuggendo e cercando, dove non c’è, un Eldorado ove tutto è concesso, tutto preteso, niente ripagato. Il nostro piccolo mondo, forse antico, ma tanto caro, già da tempo andato sbiadendosi, scomparirà per sempre. Le trasformazioni, dapprima calibrate e graduali, vanno assumendo forme e fattezze che non lasciano spazio a speranze. Se, agli albori della sua metamorfosi, pesante è stato il contributo di un progresso abbagliante rapido ed attraente, ma troppo fulmineo e mal calibrato nella sua repentina irruenza, oggi è lo spettro di uno sconvolgimento culturale radicale a decretarne la fine, se non gestito con il necessario raziocinio.
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