Il merito? Ecco la verità amara

È finita su molti quotidiani la storia di Luca Marannino studente modello, liceale milanese, dalla pagella perfetta con dieci in tutte le materie. Un ragazzo che non si ritiene un fenomeno, ma al contrario continua a ritenersi uno come tanti che dedica due o tre ore al giorno allo studio, che gioca a basket e che suona il pianoforte. Qual è dunque il suo segreto? La costanza, la pazienza, la voglia di andare oltre, di lasciarsi prendere dalla curiosità, di metterci del suo in tutte le proposte formative. Cos’altro dire. Siamo di fronte a un giovane eccezionale o a un ragazzo normale dalle sane abitudini culturali, sportive e ricreative? Propendo per la seconda ipotesi con la convinzione che ognuno ha il diritto di difendere le proprie idee, di dare forza alle proprie convinzioni e di socializzarle, di avvalersi del meglio che una scuola possa offrire in termini di professionalità, di relazione, di metodo. Con questo voglio affermare senza mezzi termini che ogni alunno, in partenza, è in grado di imparare un metodo di studio, di servirsi delle migliori risorse professionali e tecnologiche che la scuola mette a disposizione, di ottenere ottimi risultati. Ciò che occorre è soprattutto l’esercizio, la continuità, la costanza, la caparbietà quando si è decisi a fare qualcosa. Nessuno può suonare il pianoforte, come il nostro studente modello, senza un continuo esercizio, come nessuno può diventare campione nello stile libero se non si allena costantemente in piscina, così nessuno può prendere dieci se non si applica con continuità nello studio. Solo questi, pertanto, avranno la possibilità di riuscire a ottenere ottimi risultati; solo questi potranno dimostrare il proprio valore pur tuttavia senza trascurare hobby, svaghi, tendenze e, perché no, anche innamoramenti. In ultima analisi senza abbandonare una vita normale. Questi ragazzi vanno assolutamente tutelati, protetti e aiutati non solo in una visione scolastica, ma anche e soprattutto nell’autentico, intrinseco significato di aiuto alla persona. Può per questi ragazzi essere sufficiente parlare di merito suffragato da un bonus economico? No di certo! Per loro ci vuole ben altro ancora. Per costoro la scuola e l’intera società, devono farsi carico di garantire ogni opportunità che soddisfi e alimenti la passione di andare oltre, la certezza di trovare nell’ambiente ove si cresce e si diventa uomini l’occasione che spinga a rivedere e ricercare ciò che si è già visto e cercato senza la pretesa di aver trovato quello che si cercava. Questo diciottenne parla di curiosità, di andare oltre, di voglia di approfondire. Ebbene chiediamoci quanti dei nostri ragazzi sono disposti a questo? Quanti nostri ragazzi hanno voglia, come dice Antistene di «togliersi di torno il rifiuto di imparare»? Quanti, invece, si accontentano del minimo indispensabile per sopravvivere scolasticamente parlando? Allora se dobbiamo farci carico di aiutare chi arranca, ma che dimostra nonostante le difficoltà, di meritare l’aiuto, a maggior ragione non dobbiamo pensarci su due volte a utilizzare la scala alta di valutazione per riconoscere e premiare il rendimento nello studio di chi eccelle. E invece troppo spesso anche i professori cadono in errore salvo poi pentirsi, quando oramai non è più possibile tornare indietro, di non aver dato il massimo dell’aiuto possibile a chi tale aiuto meritava. Probabilmente in tante scuole ci saranno sicuramente dei Luca Marannino, ma non in tutte le scuole ci sono professori illuminati al punto da creare condizioni, per valorizzare al massimo le potenzialità di uno studente. E la cosa strana è che questa mentalità, questa cultura, la troviamo anche nel sociale. Chiediamoci quanti sacrifici uno deve fare per convincere il prossimo a investire sulle proprie capacità, sul proprio talento. Purtroppo è vero il contrario. Molte volte accade che il talentuoso non viene sostenuto, viene guardato con sospetto e diffidenza, non viene creduto, o peggio ancora isolato senza una ragione particolare, urtando l’umana vulnerabilità. Vorrei, a tal proposito ricordare il tanto vituperato Protagora, antipatico ai più per il suo disinvolto relativismo, ma che per questa particolare circostanza ha assunto un atteggiamento meritevole di essere ricordato. Il nostro divo, che guadagnava più di qualunque altro alla sua epoca per le sue lezioni private, soleva chiedere di più a chi era ciuccio e meno a chi era bravo. In altri termini si faceva ben pagare da chi lo costringeva a un maggior impegno nell’attività di docenza e chiedeva poco a chi si presentava alle sue lezioni con un ottimo bagaglio di conoscenza. Un tale atteggiamento lo giustificava non solo per la misura dell’impegno che la circostanza lo obbligava ad esercitare, ma anche per la convinzione che, chi pigramente atrofizza il muscolo della conoscenza, va punito in quanto colpevole di non essersi prodigato per la saggezza ricevuta. Il merito e la riconoscenza vanno esercitati più di qualsiasi altro tecnicismo strumentale. Chiediamoci, ad esempio, quanti nel mondo universitario sono diretta emanazione delle cosiddette “baronie accademiche”? Quanti manager occupano posizioni elevate per il solo merito di essere nelle grazie del tal potente politico? Come si vede il discorso sul merito da noi purtroppo vale ben poco. E’ un grosso errore che ha conseguenze disastrose. Un sistema che costringe molti validi giovani, molte menti ben esercitate, ma lungi dall’essere sotto le ali protettive di chicchessia, a rompere ogni indugio per trovare altrove quello che in casa non è assicurato: il merito. La questione facilmente prende un risvolto anche etico. Perché insistere a cercare tra le braccia dei potenti la risposta alle abilità racchiuse nel proprio intelletto? Mi viene in mente l’aneddoto di Platone che vedendo Diogene lavare la verdura presso una fontana, si avvicinò e gli sussurrò: «Se tu servissi alla corte di Dionisio non laveresti la verdura». E lui di rimando: «E se tu lavassi la verdura non saresti cortigiano di Dionisio». Cosa impariamo da questo aneddoto? Meglio affidarsi alle proprie forze con tutte le variabili che una simile scelta potrebbe originare che cercare nel potente la risposta alla propria sete di affermazione. L’aiuto di un potente non è mai sicuro.

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