Il matrimonio di don Leone (che non ci fu)

In tempi remotissimi - quelli della mia infanzia - era ancora un po’ vivo il ricordo delle facezie di don Leone, un sacerdote della nostra diocesi, del quale non ho precise notizie, neppure quanto all’epoca in cui vi esercitò il ministero. Chissà per quali motivi mi torna alla mente quanto si racconta a proposito della visita di cui fu onorato, anziano e sul finire dei giorni, da parte del vescovo, venuto per l’estrema unzione. Partecipe al rito con lucidità e profonda fede, il malato ascoltò, poi, le parole del presule, formulate press’ a poco così: «sii sereno don Leone. In molti pregano per te e tu hai ricevuto tutti i sacramenti». Verità o leggenda che sia, si tramanda che don Leone, raccogliendo le forze e rivolto al vescovo, avrebbe commentato con questa ilare precisazione: «ma il matrimonio no!».

Si concludeva, in tal modo, la vita di un prete di indole gioviale e serena, simile, in ciò, a personaggi descritti in opere che ebbero fortuna nella storia della letteratura, come avvenne, ad esempio, del piovano Arlotto. Abbiamo, all’opposto, situazioni in cui l’immagine del sacerdote finisce delineata come simbolo di incertezze ed angosce, in preda a interrogativi laceranti, destinati a restare senza risposta in eterno. Alcune di queste figure suscitano tenerezza struggente e solidarietà di affetti, come è, ad esempio, del curato di campagna nel celebre romanzo di Bernanos. Giudicare le due situazioni è difficile, e riesco solo a dire che l’ideale è di viverne una - la propria - senza trascurare i messaggi e le suggestioni che vengono dall’altra. Del resto non c’è anfratto della condizione umana o pensiero che sgorghi in noi, ove non occorra anelare a soccorsi di salvezza, nella selva dei giorni che passano. Tornando, per questo, all’ultima facezia di don Leone, troviamo che essa può spingere il pensiero a vari ambiti di riflessione. Si può essere indotti, ad esempio, a porre confronti tra ciò che, di fatto e nelle certezze collettive, era, in quei tempi, il matrimonio, o a chiederci per quale motivo la sortita di don Leone risultasse carica di esplodente ilarità. Cominciando da quest’ultimo punto, ricordiamo anzitutto che l’ilarità esplode quando si accostano realtà ritenute, nel profondo e nell’inconscio, totalmente inaccostabili, incompatibili e di impossibile coesistenza. Fantasticarle cooperanti, finisce col produrre qualcosa di gioiosamente assurdo, come nei guizzi di fantasia sull’elefante che va in bicicletta o sull’asino che suona l’arpa. Tutto questo per dire che, pur nell’inconscio, era percepita così, ai tempi di don Leone, l’accostamento fra matrimonio e condizione sacerdotale. Sarebbe interessante, a questo punto, chiedersi come vadano le cose oggi. Tuttavia se vogliamo prendere atto degli abissi scavati, più o meno su questi temi, fra quei tempi e noi, occorre pensare all’istituzione stessa del matrimonio, come essa è conciata, oggi, nelle situazioni sempre più diffuse e nelle certezze dominanti. Pur fra mine vaganti, ai tempi di don Leone era ancora in essere, in molti aspetti della mentalità e del costume, quello che si suole chiamare regime di cristianità, e, per questo, il matrimonio era quasi universalmente sentito come indissolubile e celebrato in chiesa. Si pensi, invece, al fricandò di oggi. Ci sono - e sempre in aumento - coppie, anche con prole, che convivono senza aver celebrato alcun matrimonio, e, d’altra parte, ottengono ascolto le richieste di un vincolo matrimoniale anche per situazioni in cui occorrerà inventare qualcosa per distinguere lo sposo dalla sposa. Tutto ciò perché gli elementi distintivi con cui si risaliva indiscutibilmente, un tempo, ad Adamo ed Eva, oggi - a quanto pare - non funzionano più. Mi chiedo, a volte, cosa inventeranno, da adulti, i bimbi che oggi, anche alle elementari, vanno a scuola con zaini ricolmi di libri, che pesano sulle loro piccole spalle senza pietà, Mi fanno tenerezza e credo non siano pochi i motivi per i quali è giusto sentire trepidazione, pensando a ciò che li attende, nel tempo che verrà.

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