La scorsa settimana, dopo molti anni, mi sono recato a Milano per una riunione di lavoro salendo con alcuni colleghi su un treno che fermava a Codogno, per una volta rinunciando all’automobile. Sia all’andata che al ritorno abbiamo faticato a trovare posto a sedere, trovando le carrozze affollate di centinaia di giovani universitari per lo più silenziosi, piegati sugli strumenti digitali che ormai consentono in ogni momento e in ogni luogo di comunicare, leggere, studiare. Non sembravano perdere tempo. Sembravano piuttosto impiegarlo per avvicinarsi a un mondo “adulto” che minaccia di tenerli a lungo sulla soglia. Come sempre la realtà è più eloquente di qualsiasi ricerca o saggio sociologico e ti costringe a fare i conti con qualcosa che resiste a ogni difficoltà o stato di crisi: al fatto, ad esempio, che anche nel nostro territorio vivono tanti giovani che rivolgono domande alla vita, alla ricerca di un progetto che la renda anzitutto dignitosa, perché conforme ai propri desideri e preziosa per gli altri. Con la differenza, rispetto anche al più recente passato, che il sistema sociale in cui si muovono (per tacere di quello politico) più che offrire opportunità sembra sottrarle sempre più, per carenza di risorse ma anche di idee, di valori, di prospettive.Ma intanto, sulla tratta ferroviaria che porta a Milano e alla sera riporta a Lodi e nella Bassa, anche nei prossimi mesi e nei prossimi anni il treno continuerà a raccogliere e giovani in bilico tra una terra, quella lodigiana, che li ha generati e un orizzonte (quello delle loro aspirazioni) da cui attendono qualche bagliore.Una terra e un orizzonte, dunque. Abbiamo tutti bisogno di una terra, ma i giovani ancora di più. Una terra, che significa non solo un terreno su cui posare i piedi, ma un luogo in cui ogni giorno incontrare volti conosciuti e in cui essere a nostra volta riconosciuti, quindi confermati nel nostro valore. E abbiamo tutti bisogno di un orizzonte, ma i giovani ancora di più. Un orizzonte verso cui guardare e verso cui muovere o anche solo da tenere ben fisso davanti a noi nei momenti in cui le gambe non reggono la fatica e siamo costretti a fermarci.Anche l’esperienza degli Stati Generali si colloca tra terra e orizzonte: una terra che c’è già, il nostro Lodigiano, ma che per svariate e anche gravi ragioni è chiamata a pensare con urgenza al proprio futuro, a darsi un orizzonte. Mi piace pensare, e sperare, che lo sforzo generoso di chi ha animato negli ultimi due anni i gruppi di lavoro che hanno portato al Libro Bianco, che sarà presentato venerdì prossimo, possa contribuire almeno per un po’ a costruire un Lodigiano che, senza rinnegare la propria identità più bella e più autentica, possa crescere e aprirsi, per fare spazio ai giovani lodigiani che, ancora alle prese con lo studio o già impegnati in qualche prima seppur precaria occupazione, si stanno preparando a rivestire i ruoli professionali, familiari e sociali a cui sono destinati.
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