Il lingalingö? Ha un nome in ogni porto

Il recente varo della motonave da crociera sul Po, lodevole iniziativa che ci auguriamo possa dare impulso al turismo locale, ha sollevato alcune questioni glottologiche che puntualmente il Cittadino ha riportato. Il curioso, e per i “furesti” indecifrabile, nome dato all’imbarcazione, “ligaligö” (“ramarro”), non è effettivamente condiviso da tutte le varianti del nostro dialetto. Sfogliando i dizionari locali che ho sottomano (le scelte individuali dei singoli parlanti sono meno attendibili) scopriamo che a Lodi (Caretta, Pezzini, e Achilli nella sua appendice lessicale a Sü la ringhiera) si preferisce la forma lingalingö. Vittoria Fontana (E via, te cünti ‘na cossa, raccolta di espressioni dialettali livraghine) riporta ligalingö. Aldo Milanesi e Giuseppe Ghidini, rispettivamente per i dialetti di Casalpusterlengo e di Codogno, registrano invece ligaligö. Il Caretta riporta anche ghes, lodigiano, sì, ma diffuso in tutta la Lombardia. Altri lo chiamano più banalmente lüserton o verdon. E allora? Allora l’importante è che stia a galla, e che non si faccia tentare dagli “inchini” ai paesi rivieraschi come la nave da crociera che tutti conosciamo. D’altronde, anche se lo si fosse chiamato bis rané - rettile più a suo agio nell’ambiente acquatico che non il ramarro - qualcuno avrebbe obiettato che va scritto in una sola parola: bisrané (come da Caretta e Fontana), anzi bisarané (Pezzini e Achilli), no, meglio bissa mangiarana (Milanesi). Altre proposte? Ciciabega? La ‘sanguisuga’, secondo Pezzini e Caretta. Che diventa cinciabega tra Casale, Codogno e Livraga. Ma la sangueta (altrimenti detta ciüciasangu) oltre ad aggravare il problema fa ribrezzo, e così ci giochiamo il futuro turistico del Lungopò lodigiano.Perché allora non puntare sulla simpatica lucciola, la panigaröla? Un nome che mette d’accordo tutti, compresi i bambini di un tempo, che la vedevano miracolosamente trasformarsi in una monetina dopo una notte trascorsa sotto un bicchiere capovolto. Solo che per il dizionario del Caretta la panigaröla non è la lucciola ma il ‘fiore della robinia’, mentre per quello di Achilli è il ‘fiore dell’ippocastano’. Allora chiamiamola spusa, quel delicato insetto dalle forme snelle e dai riflessi iridescenti che per l’italiano medio è la libellula. A parte il rischio di vedere la nostra motonave monopolizzata da viaggi di nozze autarchici, faccio notare che Caretta e Pezzini la chiamano bela spusa, e Achilli spuseta. E che la grafia oscillante della esse aspra o dolce e della “u francese” potrebbero renderla tutt’altro che attraente.Possibile che per risolvere la spinosa questione si debba arrivare al... riccio? Un animaletto che - nonostante gli aculei - piace anche ai bambini per il suo musetto simpatico e l’incedere goffo. Quasi tutti lo chiamano risacan. Peccato che Milanesi e Ghidini, dalla Bassa, in disaccordo con la maggioranza, lo abbrevino in riscan.Non ci rimane che quel curioso insetto dal corpo sottile e dalle lunghe zampe che si muove a scatti, appoggiato, quasi sospeso, sulla superficie delle acque calme: all’anagrafe si chiama “idrometra”, ma il soprannome locale (già: sculmagna? scurmagna? scumagna?) è madalena. Peccato che nessun dizionario dei dialetti del Lodigiano la registri, tranne il Pezzini.Non ci resta allora che arrenderci all’evidenza. Il dialetto, per sua natura lingua essenzialmente parlata, non ama le regole. Non esiste una grafia unificata né un lessico standard. Molti termini, spostandoci di pochi chilometri o addirittura da un quartiere all’altro della stessa città, cambiano forma o significato. Ma in fondo, se «un marinaio ha una donna diversa in ogni porto», perché il nostro “lucertolone” fluviale non può avere un nome diverso in ogni posto?

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