Ad Albignasego, in provincia di Padova, una bella cittadina alle pendici dei colli Euganei, è scoppiata la guerra contro il latino, o meglio forse è doveroso precisare che il caro estinto non deve più lasciare traccia di sé in latino. Il nuovo regolamento cimiteriale approvato di recente in consiglio comunale, infatti, vieta che le lapidi possano avere l’ultimo saluto nella lingua di Cicerone. Per farla breve tutti gli abitanti di Albignasego d’ora in poi, intuendo l’avvicinarsi dell’attimo fatale, ovvero, per dirla come Gorgia da Leontini (oggi Lentini in provincia di Siracusa), «allorché il sonno si presenta per consegnarti a sua sorella», devono pensare a una presentazione a futura memoria prettamente in Italiano e possibilmente senza strafalcioni. Bandito il latino dal cimitero di Albignasego. Nessuna eccezione per nessuno, nemmeno per il solito vecchio Monsignore che non manca mai in simili circostanze e che per anni ha recitato le giaculatorie in latino fino a ipotecare l’ultimo saluto in perfetto stile virgiliano. Niente da fare. Il regolamento parla chiaro e non ammette eccezioni. L’unica via d’uscita potrebbe essere quella di cercare una dimora in un paesino del circondario dove la lingua morta è ancora viva. Possiamo dare torto al sindaco di Albignasego? Lui che si preoccupa affinché tutti i suoi concittadini siano uguali davanti alle lapidi, può essere considerato in torto? Si legge, infatti, sul regolamento: «E’ fatto obbligo di iscrivere sul chiusino di loculo e di ossario, a seguito di avvenuta tumulazione, nome, cognome, data di nascita e morte del defunto ed eventuali parole celebrative in lingua italiana». Più chiaro di così! Povera lingua latina. Fa paura anche da morta. Cacciata dalla scuola media, annacquata dal Liceo Scientifico, ridimensionata nelle celebrazioni liturgiche, vituperata dalla tecnologia e ora persino confinata nell’al di là. Non c’è fine peggiore per quella che ai tempi di Dante era considerata la lingua dei dotti. Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora. Persino la ricerca scientifica oggi ricorre all’inglese lasciando il latino al suo destino. Per fortuna sono rimaste tracce indelebili nella terminologia medica e scientifica. Non solo. Il latino ha recentemente avuto il suo momento di gloria il giorno dell’ultimo Concistoro di Papa Ratzinger durante il quale a sorpresa il Santo Padre annuncia in latino le proprie irrevocabili dimissioni, tra l’altro per «ingravescentem aetatem», ovvero per l’avanzata età. Una notizia sfuggita ai diversi giornalisti presenti, ma non alla brava Giovanna Chirri, vaticanista dell’Ansa che, ben conoscendo il latino, ha capito subito l’importanza del messaggio, rilanciandolo a tutte le agenzie del mondo. Uno scoop che le è valso il riconoscimento al merito professionale per l’importanza della notizia data. Ma evidentemente una rondine non fa primavera visto che per la gran parte dei nostri ministeriali il latino non merita il posto tra le materie di studio. Oramai sorpassato dagli ipad, dagli smartphone, dai computer dove regna incontrastato sua maestà l’inglese. Oggi senza l’inglese non si va molto lontano, mentre senza latino si può andare ovunque anche oltre le proprie aspirazioni. Del resto, diciamoci la verità, che farsene del latino? Ha ragione il sindaco di Albignasego. Perché mai il caro estinto deve rendere la vita difficile al marmista che deve stare attento a non sbagliare la trascrizione della frase in latino? E poi non tutti, passeggiando tra i «cipressi alti e schietti», sanno leggere o capire il contenuto di una frase celebrativa in latino. Ma al buon sindaco di Albignasego è sfuggito un particolare. La foto ricordo. Non tutti i cari estinti sono fotogenici e allora perchè non consentire la possibilità di ricorrere ad una frase ad effetto in latino e rivalutare o recuperare così in fotogenicità? Perché caro sindaco di Albignasego togliere questa opportunità a chi può riscattarsi con un pizzico di civetteria culturale, ricorrendo al latino? Sarà pure una lingua morta, come dicono in tanti, sarà pure fuori tempo massimo visto che a dettare legge oggi è l’inglese, ma lo studio del latino e di quella ricchissima cultura rappresentata dai grandi poeti e autori latini, sono sicuro che potrebbe contribuire, oggi più di ieri, ad aprire la mente. Devo ammettere. Quando l’ho studiato alle medie e alle superiori, il latino è sempre stato per me una bestia nera. Lo studio della grammatica, ma soprattutto della sintassi (benedetta consecutio temporum) hanno sempre rappresentato un incubo per il tempo che richiedeva. E poi traduzioni di versioni, di passi dei grandi autori, talvolta estrapolati in modo strategico dai docenti tanto per renderci la vita difficile. Tutto questo a tutti noi della mia generazione ha lasciato un ricordo. Da studente un ricordo duro, problematico, di difficile sopportazione quasi inaccettabile. Ma poi si cresce. C’è voluta l’esperienza universitaria per farmi capire l’importanza della lingua latina per il contributo dato all’educazione della mia forma mentis. Posso dire senza ombra di dubbio che lo studio del latino aiuta tantissimo a ragionare, a trasformare i concetti in idee. Insegna a osare, a spingere l’intelletto là dove la conoscenza si fa ricerca attraverso processi logico-induttivi. A mio avviso la conoscenza della cultura latina non è espressione di snobismo culturale, essa va oltre l’apporto intellettuale perché trascina la mente anche e soprattutto su un piano emotivo. D’accordo. L’informatica offre un moderno approccio grazie al quale la cultura scientifico-tecnologica apre nuovi orizzonti, nuove opportunità che consentono di avvicinare le distanze, di relazionare in modi fino a qualche anno fa ritenuti impossibili. Ma la tecnica virtuale indebolisce il dato emotivo. Davanti a un computer non ci si emoziona come, invece, potrebbe accadere davanti a un brano di un autore che il tempo non è riuscito a cancellare. La lingua dei nostri padri ha ancora tanto da dire e allora lasciamo pure che le lapidi parlino un’altra lingua. Del resto non viviamo forse in un’epoca multietnica, multiculturale dove le tante lingue vive o morte hanno sempre qualcosa da dire? «Mala tempora currunt». Pardon. Volevo dire «Corrono brutti tempi». Tranquilli non la scriverò sulla mia lapide. La «sorella del sonno», come dice Gorgia da Leontini, ha ben altro a cui pensare che presentarsi a un povero preside.
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