È un mistero, quello che avvolge il settore commercio in buona parte d’Italia. Al di là del fatto che i consumi continuano a rimanere inchiodati (anzi, lievemente calanti ancora, secondo le statistiche e soprattutto i report in mano alla grande distribuzione), anzi proprio per questo non si riesce a capire come l’unico settore dell’immobiliare che tira alla grande sia proprio quello delle superfici commerciali.Non c’è città o hinterland che non stia programmando nuovi negozi, nuove estese superfici commerciali, nuove conversioni di aree dismesse in punti vendita o quant’altro.Bene. Le statistiche dicono che il commercio “on line” sta crescendo a ritmi incredibili, e che la metà dei consumatori italiani s’informa o realizza i propri acquisti con questa modalità che esclude la vendita “fisica”. Un colosso come Amazon – e la capacità che ha di consegnare saltando a pie’ pari la normale catena di vendita – in Italia non ha ancora espresso tutto il suo potenziale.C’è poi un fiorire, in ogni angolo d’Italia, di mercatini di vario tipo: d’antiquariato (molto vario), a chilometri zero, di prodotti tipici, quelli classici ambulanti… Per non parlare poi di un fenomeno, nato nel periodo estivo e nelle località di mare, che si sta estendendo pure nelle città: i furgoncini – spesso Apecar – che vendono vestiti o quant’altro in una piazza o in una zona di passaggio; per non parlare infine dei temporary shop: negozi che aprono per pochi mesi, vendono e quindi chiudono baracca e burattini. E le vendite dirette, fatte dal coltivatore diretto come dalla grande azienda produttrice attraverso il suo punto vendita interno o outlet.Mettiamoci infine il sorgere di mega-centri commerciali (fresca l’apertura alle porte di Milano del più grande attualmente esistente in Italia) con centinaia di negozi delle tipologie più varie, per arrivare ad una conclusione: se la torta rimane quella che è, o la torta è più grande di quanto le statistiche registrino (beh, è possibile: si pensi alla quantità di “nero” che gira in Italia) o comunque stiamo andando al galoppo verso un’inevitabile conclusione: lo scoppio di una bolla, questa volta non immobiliare o finanziaria, ma commerciale.È vero: le periferie, i quartieri non centrali, i paesi di provincia hanno visto sparire il commercio locale. Salvo ormai rare eccezioni, si fatica a trovare un’edicola aperta o un ferramenta, al massimo una farmacia e – novità – i piccoli supermercati che invece stanno funzionando bene. Ma a vista queste chiusure sembrano nettamente inferiori alle continue e numerosissime aperture laddove ora si fa shopping: nei centri storici e nei centri commerciali.Negli scorsi decenni, la Pianura Padana e certe zone del Centro hanno visto crescere come funghi i capannoni industriali: non c’era piccolo imprenditore che, mettendosi in proprio, non cercasse il “suo” capannone ove mettere macchinari e insegna esterna. Oggi, in fase di crisi e di deindustrializzazione, si vedono intere aree artigianali-industriali popolate di capannoni vuoti o, peggio, addirittura abbandonati. E questo anche nelle province più ricche e dinamiche. La sensazione è che la cosa possa riguardare nel prossimo futuro anche le strutture commerciali; e in realtà già s’intravvedono i primi centri commerciali (i peggio serviti, quelli che non hanno retto alla nuova concorrenza, i più vetusti) in fase di abbandono: i negozi vanno dove c’è la clientela, la clientela va dove ci sono i negozi. Basta molto poco per innescare il circolo vizioso. Anche al contrario.
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