Noi italiani ci trastulliamo con l’autoctona convinzione che il nostro sistema scolastico sia tra i migliori e più qualificati al mondo. Rispetto a quale parametro? Boh, non si sa. Comunque è molto buono, gli altri ce lo invidierebbero.Sarà. Ma in un mondo sempre più interconnesso, dove sono spariti i confini fisici e quelli temporali; dove in poche ore si passa da casa propria a Dubai, Helsinki o New York; insomma in un mondo dove il lavoro può essere ovunque e a disposizione di tutti, chi ha maggiori chance di aggiudicarselo? Un olandese che a 15 anni conosce – oltre alla propria difficile lingua – abbastanza bene sia il tedesco che l’inglese, e non di rado studia a scuola una quarta lingua? O un italiano che, ben che vada, alla stessa età rumina un inglese scolastico col quale non riuscirebbe neppure ad uscire dall’aeroporto di Heathrow?Perché passano gli anni, cambiano i tempi ma la conoscenza delle lingue degli italiani rimane tutto sommato penosa, ad ogni età: è già tanto che si mastichi qualcosa di un idioma straniero, due poi… “Inglese scolastico” campeggia in troppi curricula lavorativi; pochi giovani sanno affrontare fluentemente una lingua straniera, nonostante l’Italia sia da una parte un Paese esportatore che non esita ad affrontare qualunque mercato mondiale; dall’altra una meta turistica alle prese con milioni di stranieri ospitati nello Stivale.Per carità: ci arrangiamo. In qualche modo riusciamo ad uscire dall’aeroporto londinese e a dirigerci verso la metropoli; con buona volontà e un certo impegno riusciamo a dare informazioni ai nostri ospiti, un po’ con la bocca e molto con i gesti. Ma usare una o più lingue per il proprio percorso professionale è un’altra cosa.Strano: tutti i popoli che hanno una lingua poco usata nel mondo, o comunque assai ostica, da sempre considerano fondamentale impararne delle altre: si pensi appunto agli olandesi, agli scandinavi, agli israeliani. L’italiano è parlato nel mondo da una sessantina di milioni di persone e non è certo una lingua facile per chi italiano non è; né sta nei programmi scolastici di molte scuole straniere. Eppure snobbiamo da sempre l’insegnamento delle lingue: poche ore di materia scolastica, insegnanti spesso inadeguati, un senso di marginalità che accompagna queste lezioni in tutto l’abbondantissimo corso scolastico dei nostri figli.I ricchi mandano i figli nelle scuole private in lingua straniera; nei campus estivi all’estero; hanno tate madrelingue e non disdegnano corsi pomeridiani per i loro pargoli sulla seconda lingua straniera già alle elementari. Sanno che la conoscenza è il vero asso nella manica del futuro prossimo: preparano la prole a diventare avvocati specializzati in contrattualistica internazionale; medici pronti a lavorare per molti servizi sanitari; manager di industrie di qualsiasi parte del mondo; responsabili delle vendite di grossi gruppi in Cina piuttosto che in Brasile; funzionari strapagati nelle istituzioni internazionali. Sanno – anche – che i loro pargoli, seppur così preparati a dovere, dovranno affrontare una concorrenza spietata, che ogni anno lo sarà sempre di più quando le elites asiatiche verranno alla conquista dei migliori posti in circolazione.E gli altri? Il responsabile di una media azienda del Nordest ci ha appena raccontato della difficoltà pazzesca a reperire un responsabile vendite con tedesco fluente; alla fine, ha trovato appunto una ragazza tedesca che ha scelto di vivere qui da noi. Ma la stessa ha fatto subito capire che l’impegno sarà provvisorio: troppe sirene continuano a suonarle attorno.Siamo sicuri che la nostra splendida offerta scolastica sia all’altezza di ciò che sta accadendo fuori dalle aule e dai programmi ministeriali?
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