«Fra gli operai più malpagati ci sono gli educatori. Cosa vuol dire? Semplicemente che lo Stato non ha interesse. Se l’avesse le cose non andrebbero così». Siamo di fronte a un’affermazione che suona come una sonora bocciatura verso le nostre istituzioni che continuano a mostrare indifferenza nei confronti della classe docente. E’ un passaggio del messaggio che Papa Francesco ha rivolto ai partecipanti durante il recentissimo Congresso mondiale sulla scuola cattolica. Ovviamente l’attenzione del Pontefice non ha toccato solo la problematica economica che pure rappresenta un pesante fardello per la categoria docente e che ancora oggi, a sei anni dall’ultimo contratto, continua a tenere banco tra gli addetti ai lavori. Nell’insieme sono stati toccati altri aspetti di natura pedagogica quasi a voler sottolineare la delicatezza nonchè la difficoltà del compito educativo a cui viene costantemente chiamato l’insegnante. Un compito che oggi più di ieri, soffre di certi particolari mali che se non curati adeguatamente, finiscono per indebolire se non addirittura vanificare la difficile opera dell’educatore, sempre più tentato a farsi trascinare da una cultura che poggia il sapere solo ed esclusivamente su basi empiriche, chiudendo la porta in faccia a qualsiasi altra verità rivelata. Questo può anche voler dire che nel rapporto educativo molti valori, un tempo comunemente riconosciuti, accettati e condivisi, possono essere compromessi fino a rompere quel «patto educativo» che coinvolge in maniera intensa i genitori preoccupati più a proteggere che a educare. D’accordo. Viviamo tempi dalle grandi incertezze, tempi in cui vengono messi in discussione persino i valori fondamentali della vita e per certi aspetti quelli di oggi sono anche tempi persino violenti. Anzi. Dirò di più. Dopo i tragici fatti di Parigi pare che l’odio per l’altro, per il diverso, si alimenta e si rafforza fino a spingersi verso un forsennato fanatismo, «presente tutto intorno a noi e forse anche dentro di noi nelle forme più silenziose e civili» come sottolinea Amos Oz scrittore e saggista israeliano di fama internazionale. Un fanatismo disposto a dare risposte violente a domande d’amore. «Mala tempora currunt, sed peiora parantur» ovvero «corrono brutti tempi, ma si preparano di peggiori» ci ricorda Cicerone, considerando con questo, gli abusi sociali, politici, economici che prepararono gli animi a cattivi presagi. E la situazione sociale di oggi è tale da dare ragione a queste nefaste prospettive. Anche la scuola, dal punto di vista educativo, vive un periodo di incertezze e confusione di ruoli, dove sono messi in discussione persino certi valori che hanno rappresentato per secoli regole anche non scritte, ampiamente riconosciute e fortemente condivise, ma oggi purtroppo messe in discussione. Il pensiero va non solo ai rapporti scuola-famiglia nella sua espressione partecipativa che pure sta attraversando la peggiore crisi da trent’anni a questa parte, ma anche ai tanti problemi di natura educativa che tocca la sfera professionale di chi è chiamato ad educare. E mi spiego. Che tra insegnanti e genitori il più delle volte non corre più buon sangue, non è un mistero. E’ sufficiente, per questo, scorrere le diverse pagine on-line per scoprire una realtà che purtroppo non lascia dubbi al lettore. Scuola e famiglia, infatti, non viaggiano più in sintonia come un tempo ormai lontano, tanto che l’insegnante viene sempre più spesso messo in discussione non solo dal punto di vista professionale, ma anche e soprattutto dal punto di vista educativo. Là dove prima c’era comprensione, oggi c’è fraintendimento, là dove empatia, oggi a prevalere è l’antipatia, là dove condivisione, oggi c’è disapprovazione. Ditemi voi se questo non genera confusione e distacco. Il ragazzo sa di trovare nel genitore un validissimo alleato e questo lo rafforza e lo rinfranca dalle sue incertezze per vivacchiare così sul filo etico della falsa legalità delle proprie azioni fino a spingerlo a mettersi in netta contrapposizione con l’insegnante. Spesso si sente persino legittimato a farlo. E in effetti l’aiutino, talvolta richiesto in tempo reale, quasi sempre non manca mai e questo nonostante i patti sottoscritti dicano il contrario, ma come spesso accade in questi casi essi rimangono racchiusi nella sfera delle buone intenzioni. Naturalmente l’auspicio che si fa costantemente largo nella scuola è che prima o poi i patti, scritti o non scritti, siano osservati e l’azione educativa riscopra quella necessaria corresponsabilità che fa di un servizio educativo l’occasione della riscoperta di diritti e doveri a cui tutti siamo chiamati, men che meno i ragazzi che per loro natura sono portati a considerare più i diritti che i doveri. Sotto questo aspetto diventa importante la presenza dell’insegnante che non può avallare con eccessiva tolleranza, permissivismo o superficialità di valutazione la gravità di particolari comportamenti che trovano fondamento sull’esclusione del più debole all’interno della classe. Non va dimenticato che il debole è più che mai esposto a un certo tipo di isolamento relazionale, a voci diffamatorie, episodi di razzismo, piccoli furti, estorsioni, aggressioni, danneggiamento di cose personali. Parliamo di contesti sociali difficili resi, talvolta, ancor più amari dall’esclusione sentita, vissuta e sofferta anche in ambito famigliare. E’ bene ricordare che molti ragazzi vivono oggi una condizione di precarietà genitoriale tale da condizionarli negativamente nelle emozioni, nell’umore, nei sentimenti, rendendo precario lo stesso livello di autostima. Da qui la necessità di non farli sentire esclusi dalle attenzioni dell’insegnante. Bello ricordare l’invito di Giovenale che nelle Satire amava ripetere «maxima debetur puero reverentia» ovvero «al fanciullo si deve il massimo rispetto». E qui il discorso si fa interessante dal momento che il concetto di rispetto, valore non negoziabile, ha perso negli ultimi decenni molto del suo smalto originario proprio nella scuola, luogo ritenuto di eccellenza per la cura, la tutela e la trasmissione di certi valori. Anche se parlare di valori oggi sembra quasi di essere fuori moda, tuttavia non dobbiamo stancarci di tener presente il significato di scuola vista e sentita non solo come luogo del sapere, ma anche come unica occasione per orientare la mente e il pensiero, per uscire dagli schemi, per essere creativi e diversi. Che è poi ciò che vogliono i ragazzi.
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