Il degrado delle carceri italiane

Le prigioni italiane sono “malate”, afferma il titolo dell’ottavo rapporto dell’Osservatorio Antigone sulle carceri del nostro paese, presentato a Roma il 28 ottobre scorso e ora disponibile in libreria per le Edizioni dell’Asino. Una lettura amara ma illuminante, che denuncia i mali di un sistema in affanno, a un passo dal collasso. Dopo un’estate di appelli e istanze, culminati il 14 agosto scorso nel giorno di sciopero della fame e della sete per la convocazione straordinaria del Parlamento su giustizia e carceri, il silenzio è nuovamente calato sulla situazione di degrado e illegalità dei penitenziari italiani. Del resto, nel periodo tra giugno e ottobre, i temi della giustizia e delle carceri sono stati presenti in appena lo 0,8% delle notizie in telegiornali e spazi di approfondimento (fonte: Radicali Italiani). La vigilia di ferragosto furono oltre duemila le cittadine e i cittadini che si astennero dal cibo, affiancandosi al leader radicale Marco Pannella nella sua azione non violenta. E furono senza numero (certo non potevano dare adesione formale, né l’amministrazione penitenziaria volle contarli) i detenuti che in tutta Italia effettuarono lo sciopero del carrello - rifiutando i pasti - e la battitura serale delle sbarre: invisibili sì, ma non muti, non in silenzio.

Attraverso il rapporto di Antigone, giova ancora una volta ripercorrere le ragioni del degrado e dell’illegalità del sistema carcerario italiano, una «questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile» (così, nel luglio scorso, il Presidente della Repubblica).

Sovraffollamento. Al 30 settembre 2011 le persone detenute erano 67.428 (di cui 2.877 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 45.817 posti, con indici senza confronto in Europa: media italiana del 148,2% (con una punta del 303%), contro la media europea del 98,4%. Soltanto 37.213 i reclusi con condanna definitiva (meno della metà!), a testimoniare l’uso e l’abuso della custodia cautelare.

Stranieri e tossicodipendenti. Spropositato rispetto all’Europa il numero di persone detenute di origine straniera: non perché in Italia i migranti delinquano di più, ma perché non hanno possibilità o quasi di accedere a misure alternative; pure spropositato il numero delle persone condannate per reati correlati all’uso delle droghe, per effetto di una legislazione criminogena, come noto, tutta italiana.

Tasso di criminalità. Andamento positivo, a dispetto dell’allarme politico e mediatico: nel 2010 nel nostro paese si contano 4.545 reati ogni 100 mila abitanti, a fronte di 8.481 in Germania, 7.436 nel Regno Unito, 5.559 in Francia.

Misure alternative. Il rapporto rileva l’eccesso di discrezionalità da parte dei diversi tribunali nella concessione di misure alternative (affidamento in prova, semilibertà, detenzione domiciliare), con una forbice nelle percentuali di accoglimento delle istanze che va dall’11,6% al 39,4%. Una «giurisprudenza a macchia di leopardo», dunque, purtroppo in linea con la discrezionalità che si riscontra in ambito carcerario: se i direttori delle strutture dispongono di potere limitato nella gestione finanziaria, certo esercitano grande arbitrio nel regolare la quotidianità all’interno dei singoli istituti di pena.

Scarsità di risorse. L’amministrazione penitenziaria presenta un debito di oltre 120 milioni di euro nei confronti dei fornitori di beni e servizi essenziali al mantenimento delle persone detenute, alle quali (è bene ricordarlo), scontata la pena, lo Stato presenterà il conto della reclusione. «Non abbiamo più nemmeno i soldi per pagare il riscaldamento» ha dichiarato Maria Pia Giuffrida, provveditore dell’amministrazione penitenziaria toscana.

Personale insufficiente. I magistrati di sorveglianza sono 193 anziché 208; le unità di Polizia penitenziaria 39.232 anziché 45.109. Sotto organico anche l’area del trattamento: soltanto 1.031 educatori (invece di 1.331) e 1.105 assistenti sociali (invece di 1.507).

Cassa delle ammende. Il cosiddetto decreto “mille proroghe” ha recentemente stabilito che fondi della Cassa delle ammende (nella quale confluiscono le sanzioni pecuniarie che i giudici impongono ai condannati, i versamenti cauzionali, i proventi delle manifatture realizzate dai reclusi) possono essere utilizzati non – come da mandato – per la riabilitazione delle persone detenute, ma per progetti di edilizia carceraria. Cento milioni di euro. Che non basteranno, perché il piano carceri prevede un importo di 661 milioni di euro per la costruzione di undici nuovi istituti e un totale di 9.150 nuovi posti (entro la fine del 2012). Se permarranno le condizioni attuali, i posti mancanti saranno comunque migliaia. Una beffa.

Ricorsi alla Corte Europea. Con la sentenza del 16 luglio 2009, relativa al caso “Sulejmanovic contro Italia”, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato la violazione dell’articolo 3 della «Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali»: le condizioni di detenzione di Izet Sulejmanovic nel carcere romano di Rebibbia, a causa del sovraffollamento, sono state assimilate a tortura e a pene o trattamenti inumani o degradanti. Da allora il difensore civico dei diritti delle persone private della libertà di Antigone ha presentato alla Corte Europea 150 ricorsi contro le condizioni di detenzione nelle carceri italiane; altri 200 sono stati prodotti direttamente da persone ristrette. Celle di undici metri quadrati in cui convivono sei reclusi, bagni sprovvisti di acqua calda, pasti consumati (a turno) nelle celle, ove i detenuti sono costretti a restare distesi nelle brande anche venti ore al giorno, per mancanza di spazio: condizioni, è evidente, incompatibili con il rispetto della dignità umana.

Il rapporto di Antigone non è il solo strumento di conoscenza, di analisi, di denuncia, in questo difficile autunno, a testimoniare che in uno stato di diritto è intollerabile negare tutti i diritti a un cittadino a causa della sua condizione.

Danno voce, e volto, al detenuto ignoto la video inchiesta di Radio Radicale «Giustamente» e il film documentario di Maurizio Cartolano «Mostri dell’inerzia». La prima (visibile sul sito www.radicali.it) propone un viaggio all’interno di otto tra le realtà carcerarie italiane più problematiche; il secondo (in distribuzione il 30 novembre prossimo in abbinamento a «Il Fatto quotidiano») è dedicato ai 177 morti in cella nel 2009: tra loro, Stefano Cucchi.

«Punire non serve». È la tesi dell’ultimo, coraggioso libro di Gherardo Colombo, dal titolo «Il perdono responsabile». Il dolore del carcere – inconcepibile per chi non lo prova – non crea consapevolezza e responsabilità, ma obbedienza e disperazione. «Si può educare al bene attraverso il male?» si chiede Gherardo Colombo. La risposta è no.

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