A volerlo leggere in chiave “balcanica”, il voto con cui i cittadini croati hanno detto “si” all’entrata del loro Paese nell’Unione può apparire a prima vista una contraddizione. Esso ha, infatti, certificato contemporaneamente la voglia di Zagabria di allontanarsi e quella di Bruxelles di avvicinarsi da e a quei Balcani che le Cancellerie occidentali considerano strategici per il futuro del Vecchio Continente. Contraddizione solo apparente perché testimonia la realtà di un’area che della complessità ha fatto da sempre la propria caratteristica principale. “Recuperare” nell’area europea i Paesi nati vent’anni fa dalla disgregazione della ex Yugoslavia è stata da subito una priorità dell’Unione cui i più ottimisti commentatori speravano di giungere entro il 2014; data simbolica in cui si ricorderà l’anniversario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, di quell’incendio “partito” proprio da Sarajevo e destinato a sconvolgere i destini di interi popoli.Il “sì” nel referendum, ponendo l’ultimo necessario sigillo all’entrata della Croazia nell’Ue il primo luglio 2013, ha assunto una valenza particolare in quanto giunto nel momento stesso in cui l’Ue pare essere alla ricerca di una propria nuova identità ed impegnata a superare le divisioni ed i personalismi che i diversi approcci alla crisi economica hanno fatto riemergere con violenza. Con esso, dai Balcani è venuto quasi un incitamento all’Europa ad andare “oltre”, riscoprendo quello spirito con cui essa nacque, negli anni Cinquanta, grazie all’intuizione ed alla visione profetica di quegli statisti che avevano compreso come solo un’Europa unita avrebbe potuto assicurare pace e stabilità economica alle sue popolazioni.Il voto croato può rappresentare, quindi, uno stimolo anche per gli altri Paesi dell’area, i cui negoziati con Bruxelles procedono a velocità assai diverse.La Serbia, nonostante lo scetticismo e l’opposizione della cancelliera tedesca Merkel, ha accelerato il proprio cammino verso l’adesione, anche attraverso la consegna nell’ultimo anno di alcuni criminali di guerra al Tribunale dell’Aja. A rallentare i negoziati permane la questione Kosovo; le timide aperture di Belgrado verso il Governo di Pristina hanno dovuto fare i conti, anche negli ultimi mesi, con le violente manifestazioni delle minoranze serbe nelle zone di confine.La Bosnia - Erzegovina, entità creata a tavolino dagli Accordi di Dayton e priva di una reale identità, è ancora alla ricerca di un equilibrio fra le proprie componenti etniche: la convivenza fra serbi, croati e musulmani si regge sulla presenza degli organismi internazionali ma nessuno e in grado di dire con certezza quale potrà essere il futuro del Paese.Buone possibilità “europee” ha il piccolo Stato del Montenegro mentre per la Macedonia appare ancora insuperabile il “no” di Atene: la Grecia non accetta il nome dello Stato rivendicandone l’esclusiva per un’area del proprio territorio. Per quanto riguarda l’Albania, ogni discorso di Unione appare ancora decisamente improponibile come, peraltro, per il già citato Kosovo.Dal primo luglio del prossimo anno, l’Unione si insinuerà profondamente nel cuore dei Balcani giungendo a confinare a sud-est con Bosnia Erzegovina e Serbia. E dal confine croato a Belgrado ci saranno allora solamente poco più di cento chilometri.
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