Penso che anche quanto avvenuto nei giorni scorsi a Bruxelles ci interroghi in merito alle cause di questa drammatica situazione che stiamo vivendo ed alle risposte che la comunità internazionale deve essere in grado di fornire. In una recente conversazione con la stampa che è stata riportata dal quotidiano La Repubblica il Presidente Barack Obama ha affermato che l’intervento in Libia, che ha portato alla eliminazione di Gheddafi, è stato un errore. Qualche tempo prima l’ex premier inglese Tony Blair, aveva affermato che l’intervento in Iraq fatto dalla coalizione dei volenterosi promossa dall’ex Presidente americano George Bush, è stato fatto sulla base di informazioni (quella del possesso e uso da parte di Saddam Hussein di armi chimiche) che si sono rivelate false. Potremmo riflettere anche su altri interventi di “peace keping” come vengono chiamati, per renderci conto che le finalità perseguite non erano proprio quelle propagandate di democratizzazione e pacificazione. Sulla scorta di questi elementi non possiamo non renderci conto della grossa responsabilità che l’occidente intero ha nella situazione di conflitto presente nell’area Medio Orientale, e nell’avere contribuito all’aumento del peso progressivo del sedicente stato islamico, noto come Is o Daesh, anche nei nostri paesi attraverso i continui attentati, che generano una situazione di progressiva insicurezza. In più, lo stiamo verificando direttamente, i “bombardamenti intelligenti” tramite droni, non eliminano gli attacchi che vengono portati al cuore delle nostre società; per questo si può affermare, senza tema di essere smentiti, che la guerra (e sono tanti i commentatori che ci invitano a prendere atto che ci troviamo in una situazione di questo genere ed a non avere timore ad usare la parola guerra) non contribuisce a risolvere alcuno di questi problemi, ma anzi ne aggiunge altri, come si desume dalla drammaticità assunta dal fenomeno migratorio.
Ma, e sono convinto che questa sia la domanda che un po’ tutti ci facciamo, vi può essere una risposta diversa rispetto a quella di conflitto permanente che ci viene rappresentata ormai quotidianamente? È chiaro che in una situazione così deteriorata diventa difficile immaginare delle risposte differenti da quelle che vanno sotto il principio della lotta al terrorismo, ed è anche impensabile in questa fase abbassare la guardia dei sistemi di sicurezza e prevenzione. Commentando i recenti fatti di Bruxelles, un analista sosteneva che i risultati di quanto saremo capaci di mettere in campo come risposta, li potremo vedere da qui a venti venticinque anni. In un arco temporale di questo tipo è possibile auspicare, anche a rischio di sembrare velleitario, che nel novero delle risposte sensate vada inserita anche la capacità di riprendere un dialogo, un confronto basato sul rispetto reciproco con delle realtà (popoli, nazioni, etnie) che hanno valori e tradizioni differenti dalle nostre ma che vanno rispettate. Considerando anche il fatto che la società di cui propugniamo i valori come quelli validi in senso assoluto, nonostante le rivoluzioni che si sono susseguite nel corso degli ultimi 250 anni (da quelle borghesi, a quelle liberali, fino a quelle di matrice comunista) non sono state in grado di garantire uguaglianza reale e benessere a tutti i propri cittadini, e quindi il tentativo di esportare questo modello vuoi con le armi, vuoi con la forza omologante del mercato, non può portare che a reazioni forti da parte di tutti coloro che non vogliono farsi ingannare da falsi miraggi. Dice bene Isaiah Berlin in un saggio contenuto nel suo volume “Il legno storto dell’umanità”: “...posare lo sguardo su società differenti dalla nostra, i cui valori ultimi siamo in grado di percepire come scopi vitali di uomini che sono, è vero, diversi da noi, ma sono pur sempre esseri umani …Siamo esortati a guardare la vita come al serbatoio di una pluralità di valori, tutti ugualmente autentici, ugualmente ultimi e, soprattutto ugualmente oggettivi...”
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