Si parla tanto in questi giorni di abbattere dei tabù uno dei quali lo ha messo sul tavolo la nostra ministra Stefania Giannini a proposito di docenti, ovvero quello di «promuovere i più meritevoli con un premio di produttività e punire con sanzioni chi non garantisce un livello minimo di qualità». Quindi alla base di tutto c’è il lavoro dell’insegnante che deve dare dei risultati in fatto di qualità, in mancanza dei quali rischia grosso. Ma come può un insegnante dare qualità alla propria opera? A mio avviso per raggiungere un certo risultato bisogna soprattutto lavorare sui ragazzi, educarli a essere se stessi e aiutarli così a far emergere i talenti che ognuno ha, farli fiorire, renderli fruttuosi. Però può essere anche un rischio che potrebbe condizionare negativamente i rapporti, compromettere le relazioni, sfasciare le amicizie, alimentare le incomprensioni. Gli adulti questo lo sanno. E i ragazzi? I ragazzi no. I ragazzi questo non lo sanno. Al massimo possono forse aver sentito parlare di un certo Chilone di Sparta che lasciò una traccia di sé sul frontone del tempio di Apollo a Delfi con il famoso detto: «Conosci te stesso». Ma questo non ha nulla a che vedere con «essere se stessi». Sono due concetti diversi che spesso confondono le idee anche agli insegnanti, soprattutto quando, rimproverando un alunno, si finisce sempre per stigmatizzare in modo eccessivo il suo cattivo comportamento. Talvolta ci troviamo di fronte a ragazzi che accusano gli insegnanti di rendere loro la vita un inferno. Vuoi perché si sentono presi di mira; vuoi perché sentono la distanza, venutasi a creare tra loro e i docenti, come un tranello teso per impedire di far conoscere il lato buono della personalità; vuoi perché certi insegnanti tendono a far “addormentare” i ragazzi fino a mostrarli e definirli quello che effettivamente non sono cioè ragazzi distratti, che fanno fatica a concentrarsi. Sono tutte occasioni che vengono offerte ai ragazzi per trovare una scusa al proprio disimpegno scolastico, per farli diventare degli sfigati tra l’indifferenza di chi è chiamato a una missione possibile: educare alla vita. Attenzione cari docenti i reality offerti dai media ai nostri ragazzi non è la realtà e tocca a noi far capir loro che le serate con gli amici non sono quelle fatte con ostriche e champagne, in locali fashion week o sui megayacht alla fonda dove si organizzano party con «libero spinello in libero Stato». Tocca a noi insegnar loro la differenza, l’importanza della libertà di scegliere, di vivere correttamente la propria storia. Compito arduo e difficile anche perché spaventa. Spaventa l’idea di non essere capaci del compito educativo assegnatoci, in ultima analisi si ha paura di affrontarli. Un esempio? Talvolta mi capita di sentire del chiasso provenire da un’aula. Chiedo notizie e mi viene risposto che si tratta di un’ora buca coperta da una supplenza. Ovvero che in mancanza dell’insegnante titolare, si provvede a mandare in classe un docente supplente. Ma il docente supplente più che affrontare i ragazzi trova più comodo invitarli a fare quello che vogliono purché non si arrechi disturbo. Questo vuol dire una sola cosa. Che il docente ha paura. Ha paura perché si ritiene un docente senza potere in una classe non sua; ha paura perché si sente debole nella sua azione educativa e formativa; ha paura di essere accolto tra l’indifferenza totale dei ragazzi. E allora per alleviare queste sue paure preferisce rifugiarsi nella tradizione scolastica che in questi casi si fa storia: «fate quello che volete senza disturbare». Povero insegnante. Eppure sono convinto che i ragazzi apprezzerebbero maggiormente un docente che entra per fare lezione, un docente in grado di far conoscere l’importanza del sapere, in grado di suscitare entusiasmo, ammirazione, interesse, amore per la propria materia, per lo studio. Anassimene era solito convocare i suoi allievi che «avevano fame di cose celesti» sulla collina di Kebalak presso Mileto per mostrar loro la bellezza del cielo, delle stelle, anticipando in questo Dante che ha fatto della parola stelle la conclusione di ognuna delle tre cantiche della Divina Commedia: “Inferno”: «e quindi uscimmo a riveder le stelle»; “Purgatorio”: «puro e disposto a salir alle stelle»; “Paradiso”: «l’Amor che muove il sole e l’altre stelle». Ovvero aiutare gli altri a spingersi ad andare oltre le bassezze. E in questo è l’opera dell’insegnante. Aiutare i ragazzi ad andare oltre l’indifferenza, a scoprire con loro quanta importanza ha la relazione, quanto necessario sia capire il senso del sacrificio, vivere la vita senza inseguire perennemente il piacere. Una vita con qualche affanno, più impegnativa è sempre meglio di una vita senza ostacoli. Ve lo dice uno che di ostacoli ne ha trovati tanti, ma aveva l’abitudine di guardare ogni tanto il cielo. Oggi abbiamo perso l’abitudine di guardare in alto, di guardare le stelle, mentre i ragazzi hanno smesso di sognare. A noi adulti talvolta conviene vederli realizzati con il piacere. Conviene ai genitori dal momento che offrire il portafoglio sempre pieno libera dai problemi che altrimenti potrebbero rovinare la giornata; conviene all’insegnante - fate pure quello che volete - perché così può dedicarsi ad altro. Niente di più sbagliato. Allora il problema non sono i ragazzi, il problema siamo noi adulti. Quando agiamo con indifferenza stiamo sbagliando perché non stiamo dando all’altro quello di cui ha bisogno. Se un genitore preferisce non far mancare nulla al proprio figlio, sta sbagliando perché non sta dando al ragazzo ciò di cui ha bisogno. Lui ha bisogno di fare sacrifici. Se il supplente, entrando in classe preferisce non impegnarli perché non sono suoi allievi, sta sbagliando perché non sta dando a quei ragazzi ciò di cui loro hanno bisogno. E loro hanno bisogno della sua lezione. E’ saltata la relazione che regola i rapporti tra persone, tra genitori e figli, tra studenti e professori proprio perché è in piena crisi il rapporto tra generazioni, l’idea stessa di autorità. Gli studi di avvocati e le aule dei tribunali sono diventati le nuove pareti domestiche, le nuove aule scolastiche. Così i risultati fanno fatica ad arrivare.
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