I personaggi della passione: Satana

Satana braccato, inseguito, raggiunto. Satana ridicolizzato. La vita di Gesù assomiglia ad una rapida campagna di conquista: dal primo scontro con l’avversario nel deserto, fino alle storie di liberazione che così numerose popolano i vangeli, sembra che non ci sia altro da raccontare che questa penosa rotta del fronte. Alcuni duelli appaiono perfino comici. Come quel giorno in cui Gesù per la prima volta sfiorò la terra dei pagani e lì si accorse che le dimensioni del male antico erano immense. Siamo nel paese dei geraseni, posto al di là del Giordano, dove comincia il territorio della Decapoli. È lì che dalle tenebre balza fuori l’energumeno più violento dei vangeli, un uomo talmente convinto del Male, che il suo satana si chiama “Legione”. La storia è lunga da raccontare, ma quel pover’uomo diventerà il primo missionario con tanto di diploma che la storia della Chiesa ricordi. A lui, e non ad altri a cui Gesù intima severamente il silenzio, viene concesso di raccontare la misericordia che gli è stata usata. Il male non era abituato ad avere qualcuno che si preoccupasse di lui. Il primo incontro con il demoniaco registrato nella trama dei vangeli è segnato da un interrogativo stupito: “Che c’entri con noi, Gesù Nazareno, sei venuto a rovinarci?”. Siamo nella sinagoga di Cafarnao, nel primo giorno del ministro pubblico di Gesù, e qualcuno scopre che il muretto di sacchi di sabbia ormai non contiene più l’alluvione del fiume. Per secoli, anzi per millenni, il male era prosperato nel disinteresse del bene. Il mondo del sacro si concepiva a suon di separazioni; il tempio di Gerusalemme era ciò di cui non si poteva immaginare una realtà più segregata: si dovevano oltrepassare cerchi concentrici, attraversare ponti levatoi mentali, balaustre che prescrivevano la non contaminazione di chi era puro, e che dovevano difendere la cittadella incantata di Dio. Ma con Gesù avviene qualcosa di inaspettato. Non c’è più un bene narcisista, preoccupato di incipriare sempre più meticolosamente se stesso, scrollandosi di dosso tutto ciò che suonava come tenebroso e maleducato. Qui sorge qualcosa di diverso: s’affaccia nel mondo una potenza di bene che prende a spallate tutti i muri, che non si rassegna alla solitudine del male, alla fortuna che gli arride grazie all’inettitudine del bene. Gesù è il santo che scende all’inferno, e così Satana è chiuso alle corde. Il Nazareno proclama l’editto della sua morte, l’annuncio vittorioso della fine di una guerra che l’umanità combatteva da sempre, dalla prima alba sorta sui nostri fremiti d’odio e di violenza. “Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito” (Mc 3,26). Sembra la sospirata conclusione di una storia infelice.Senonché giungono i giorni della Passione. E qui, per un istante, il vangelo pare trasformarsi in un romanzo al rovescio: non una bella storia, ma la vicenda di un Avversario che riesce nella sua trappola, fino a mettere Dio sotto scacco. “Allora Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era uno dei Dodici” (Lc 22,3). È la sua rivincita, è l’ora delle tenebre.Almeno così sembra, ad una prima lettura. Perché poi, proseguendo nella storia, la verità nuovamente riaffiora. Vale a dire che non era Satana a prevalere, e che la sua astuzia alla fine è stata un tassello da ricomporre, utile per il manifestarsi di Dio. Sembra quasi che la differenza tra lui e Dio non sia da collocarsi nell’ordine dell’onnipotenza; perché a Satana, almeno per un attimo, è riuscita la grande impresa, l’assassinio più orribile che ci sia: la fine di Dio. Ma nel giorno stesso della morte di Gesù, si rivela anche la differenza. Che il vero inferno di Satana, cioè, è la sua incapacità di morire, la sua ritrosia ad accettare questo passaggio quando è dettato dall’amore. L’inferno di Satana sono i suoi artigli, questo deplorevole star conficcato alla vita, questa impossibilità strutturale alla kenosi, all’amore, al dono di sé. Satana, in fin dei conti, è satana anche per se stesso.E così Dio nella passione piange lacrime di infinità pietà. Per noi uomini, sofferenti e stanchi, per tutte le nostre notti in cui siamo saliti in croce senza avere un Cristo a cui rivolgere uno sguardo. Ma forse Dio piange anche per il suo avversario – l’ipotesi è stata formulata da più di un autore, fin nella più remota antichità – perché fino a quando Satana non sarà riportato all’amore c’è ancora un pezzo di mondo che geme sospirando la liberazione.È un povero diavolo, questo nemico che tanto si sbraccia senza venire a capo di nulla. È ammalato di sé, che solo un Dio lo può salvare.

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