I “Mi piace” che hanno ucciso Maria

In quanti modi si può uccidere? Molti e, a volte, si può riuscire nell’impresa di uccidere di nuovo anche dopo un omicidio. L’uomo che ha accoltellato a morte l’ex moglie per poi postare su Facebook in tempo reale la missione compiuta riesce nell’impresa di aggiungere orrore all’orrore, perché al “Sei morta” sono seguiti centinaia di “mi piace”. Sorgono così tante domande che metterle in fila è esercizio non solo di sociologia delle masse, ma soprattutto di comprensione di una società alle prese con una crisi prima di tutto educativa.Chi può cliccare un like a un omicida? Un altro squilibrato? Un mentecatto? Un cattivo? Un complice? Ma caspita, quanti sono? Come è possibile che a pochi giorni dai dati terribili sul femminicidio in Italia, dopo le prese di posizione, le paginate dei giornali, le trasmissioni televisive dedicate, uno va, ammazza e incassa il gradimento del (suo) pubblico? Maria tra ieri e oggi è stata assassinata due volte e la seconda volta, seppur virtuale a mezzo condivisione social, non è meno efferata della prima. Nessuna azione è neutra, non si può pensare che si clicchi un’approvazione sotto uno status di morte e insulto solo per superficialità. Cosa alberga nell’animo di chi legge “Sei morta t..ia” e spinge il pollice all’insù in un segno che vuol dire “approvo”? Cosa ti è piaciuto o internauta bieco? Precisamente, cosa pensi di trovare divertente, piacevole, condivisibile? Il numero di coltellate all’addome? L’insulto dopo la vendetta? Il gesto di volontaria follia che ha reso una bambina di 7 anni orfana? Tre vite annientate? La foto da cacciatore che ha abbattuto la preda? Chi siete voi che gioite con l’assassino? Maschi frustrati assetati di protagonismo? L’incapacità di accettare la fine di una relazione non può e non deve sfociare nella violenza e nella morte. E il gesto indegno e premeditato di un uomo che si sente padrone della vita di una donna non può e non deve finire per essere motivo di elogio e di acclamazione. Cosa siamo diventati? Lo sdegno, la riprovazione, la condanna non sono sentimenti che albergano più nel cuore delle persone, sostituiti da un malinteso senso di appartenenza a una community che non è più comunità, ma regno dell’anonimato, del branco e della prevaricazione. Il bullismo a mezzo social network trova troppe modalità per esaltarsi e va individuato e fermato, con ogni mezzo. Per questo ci chiediamo come è possibile che il profilo e il post dell’assassino siano ancora disponibili e pubblici dopo quanto accaduto? A quanti “like” si vuole arrivare prima di chiudere la pagina?

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